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La democrazia dei replicanti

 Sono molte le spie dell’emergenza democratica. La legge-bavaglio sicuramente, ma non è la sola e mentre il governo fasciopiduista tenta di completare il Piano della P2 di Gelli chiudendo la bocca alla stampa ed alla magistratura, si riaffacciano i soliti fantasmi che, come un fiume carsico, appaiono e scompaiono dal sottosuolo della vita pubblica italiana. Mi riferisco  alla verità sugli attentati a Falcone e a Borsellino e sulla stagione delle bombe dei primi anni ’90. Il discorso sarebbe molto lungo ovviamente. Tante volte l’abbiamo toccato e tantissime altre volte lo toccheremo. E chi può farlo meglio di noi del ‘Nuovo Partito d’Azione’, l’unico partito italiano che ha nel suo simbolo oltre al binomio glorioso di Giustizia e Libertà, l’altro binomio, non meno importante, di Democrazia e Legalità?

 Al di là delle singole verità storiche che non ci è dato ancora, come cittadini italiani, di poter scoprire per via giudiziaria, noi come NPA abbiamo già varie volte in passato cercato di dire come la pensiamo, che giudizio diamo della democrazia italiana del secondo dopoguerra. Detto in estrema sintesi, il nostro giudizio è impietoso e durissimo; siamo sempre stati convinti, e non da qualche giorno cioè da quando si sono svegliati improvvisamente anche Veltroni e Ciampi, di aver vissuto in una democrazia solo nominalistica, di aver vissuto un pezzo di storia fatto di lunghi decenni di tradimento di quelle che erano le aspirazioni democratiche degli azionisti della Resistenza. Siamo convinti che a questo tradimento abbiano partecipato, chi più chi meno, chi molto chi poco, tutte le forze politiche antifasciste, anche quelle di sinistra, tutte le forze che furono alleate del Partito d’Azione nel CLN. La Democrazia Cristiana prima (Prima Repubblica) ed il partito di Berlusconi dopo (Seconda Repubblica) hanno una responsabilità storica pesantissima, per dirla in termini molto asettici. Seguono quelle degli altri, tranne pochissime eccezioni. Dopo lo scioglimento e la scomparsa del vecchio Partito d’Azione,  gli italiani hanno vissuto in una pseudo-democrazia che dietro una maschera bonaria nascondeva un volto criminale. Fino ad arrivare a Berlusconi ed al suo fasciopiduismo sudamericano anni ’50. Alla democrazia italiana nata dalla Resistenza è accaduto un fenomeno molto strano per capire profondamente il quale bisognerebbe rifarsi ad un grande film come Blade Runner. Si potrebbe definire quindi la democrazia italiana del dopoguerra come la democrazia dei replicanti. La sua vera data di inizio non fu la Resistenza, non fu il governo Parri, ma fu la strage di Portella della Ginestra! Ecco perché citavo Blade Runner; fate conto di incontrare per strada un amico, una persona buona di cui vi fidate da sempre come di voi stessi. Ebbene, quell’amico non è più quello che avete sempre conosciuto ed amato. Del vostro amico ha conservato truffaldinamente solo le sembianze esteriori, ma l’anima, il software potremmo dire, è cambiato. Quello non è più lui, è il suo clone-cyborg malvagio. Fate l’analogia con la democrazia italiana del dopoguerra ed avrete inteso perfettamente cosa voglio dire. Oggi  dopo decenni di episodi oscuri e delinquenziali dietro i quali sono emersi sempre gli stessi attori e cioè servizi segreti deviati italiani e stranieri, massonerie varie, mafie varie, potenze straniere sedicenti tutori della pseudo legittimità democratica del Paese, manovalanza dell’estrema destra fascista, generali d’esercito felloni e quant’altro si riconduce ai soliti interessi reazionari di sempre, possiamo ben sostenere sul piano storico, prima ancora che su quello ideale, che siamo davvero felici ed orgogliosi di riconoscerci nell’unica cultura politica e nell’unica tradizione politica che, anche sul piano della difesa della democrazia e della legalità repubblicana, non ha mai tradito né mai è scesa a compromessi; l’azionismo. E’ un percorso di ricerca che noi abbiamo più titolo di altri ad intraprendere e però anche noi dobbiamo sapere che lungo questo percorso incontreremo verità sconvolgenti. Purtuttavia dobbiamo avere il coraggio di fare scandalo e di dire esattamente come la pensiamo, a partire dai veri rapporti fra Mafia e Stato sedicente democratico, rapporti che stanno venendo finalmente alla luce seguendo una intuizione che personalmente ho colto già da molto tempo, se mi è concesso di dirlo. Anche in quest’ambito il compito di una forza politica minoritaria ma di avanguardia come la nostra è quello di compiere operazioni di verità e quindi operazioni rivoluzionarie; la democrazia come la  intendiamo noi azionisti è certamente un processo rivoluzionario e noi sappiamo bene che non c’è nulla di più democratico e di più rivoluzionario che dire la verità sulla democrazia, di dire la verità su quella terribile e tragica impostura che viene chiamata la democrazia italiana.

La gratitudine dei berluscones plaudenti: meno male che Beppe c’è

 

  

  

Le elezioni regionali di marzo hanno offerto una (amara) sorpresa; il Cavaliere ha trovato un nuovo ed insperato puntello al suo disegno eversivo e piduista, ultrafascista ed ultrareazionario di far fare all’Italia un salto all’indietro di decenni, se non di secoli (danno proprio questa impressione le genuflessioni servili verso le gerarchie ecclesiastiche di Santa Romana Chiesa degli ultimi giorni); il movimento di Beppe Grillo. Al di là delle chiacchiere che si leggono  in questi giorni sui vari forum di discussione da parte dei fans del tribuno genovese, è evidente che questo movimento ha pescato in abbondanza dal voto del centrosinistra. Io credo che un buon 70% di questi voti venga da frange dell’elettorato del PD e dell’IDV o di altri partiti di sinistra, un 20% da elettori che erano diventati astensionisti e forse un 10% da elettori di centrodestra o dell’astensionismo di centrodestra. I fatti parlano chiaro; senza questa lista oggi il Piemonte sarebbe stato di centrosinistra e se il Piemonte fosse stato conquistato dal centrosinistra oggi staremmo tutti a commentare un film ben diverso, che avrebbe incoraggiato il tentativo di risalita dell’opposizione e le avrebbe dato linfa morale per giocarsi con molte più chanches le elezioni del 2013. Grazie invece ai fans del Grillo le cose sono andate purtroppo nella maniera che sappiamo. Le liste di Grillo non spuntano fuori in un Paese normale dove destra e sinistra si alternano legittimamente e pacificamente per governare; purtroppo da noi la posta in palio è già da tempo quella massima, la posta che parla di diritti fondamentali del cittadino e di conquiste sociali e democratiche da tutelare, seppur sviliti e traditi anche da parte di chi avrebbe dovuto difenderli (anche da parte dei partiti tradizionali del centrosinistra). Qui è già in atto una lotta tra democrazia e progresso, da un lato, (seppure rappresentati da autori non all’altezza della situazione, così come i nuovi azionisti ripetono da cinque anni) e revanchismo reazionario clerico-fascista (con contorni confindustriali, massonici ecc.), dall’altro. E’ una lotta politica allo stato puro, quella che il giurista e filosofo politico tedesco Carl Schmitt avrebbe senz’altro definito come un luogo tipico per verificare l’esattezza della sua teoria basata sulla coppia primordiale ‘amico-nemico’ (Freund/Feind) e che si alimenta da parte del blocco reazionario clerico-fascista di Berlusconi di un continua opera eversiva di abbattimento delle regole costituzionali del gioco in direzione di un non meno continuo “stato di eccezione” (Ausnahmezustand )  .

Un archetipo che corrobora la credenza secondo cui la politica è la continuazione della guerra con altri mezzi. In questo scenario drammatico che tenderà sempre più al tragico (per quanto nel nostro Paese il dramma non è mai disgiunto dalla farsa e dalla commedia all’italiana), in questo scenario già complicatissimo per il centrosinistra e per il suo compito, che si profila sempre più nettamente come una missione di nuova resistenza nell’emergenza democratica, è piovuta dal cielo, diciamo così, improvvisa ed improvvida la meteora del movimento dei grillini che in pochi giorni ha già lasciato molte macerie nel campo del centrosinistra (non solo il Piemonte, ma anche l’aggressione sconsiderata a De Magistris ed al movimento viola) e che molte altre promette di lasciarne per il gran godimento del centrodestra che attraverso i suoi giornali ed i suoi forum già ringrazia Grillo dei regali e lo esorta ad andare avanti. Qualcuno può pensare che lo scivolone piemontese sia stato giustificato dalle posizioni dei no-Tav, qualcun altro può legittimamente pensare che il movimento di Grillo è fisiologico dal momento che esiste nel centrosinistra una legittima e fondatissima insoddisfazione verso il PD. Tutto vero, se si trattasse solo di questo. Ma purtroppo credo che qui le cose stiano in un modo più complicato. L’isterica reazione del comico contro De Magistris, che aveva proposto una cosa ovvia e cioè l’unione di tutti i movimenti e partiti in funzione antiberlusconiana, dà da pensare su quali siano i reali e reconditi fini del signor Grillo. E dà da pensare molto male, a parer  mio; su questo è bene essere chiari. Né servono le sue cortine fumogene da quattro soldi come le seguenti; destra e sinistra sono superate, il movimento non è di sinistra e non è nemmeno antiberlusconiano ma è per qualcosa. Si odono qui echi lontani di ben altri discorsi, fatti in ben altri contesti ed ambienti (accademici, giornalistici, culturali) che non credo il signor Grillo abbia mai frequentato.  Si tratta di una retorica ambigua come le chiacchiere su destra e sinistra (qualcuno, sempre sui forum di questi ultimi giorni, ha detto che esse ricalcano esattamente le parole d’ordine del movimento fascista Casapound), di provocazioni qualunquiste e volgari come l’autistica coazione a ripetere i suoi Vaffa all’universo mondo, i suoi distinguo assolutamente non credibili su chi dirige effettivamente questo movimento (dice che ognuno conta per uno, ma poi in pratica lui conta e decide per tutti). A chi gli fa notare che non va bene che un movimento che si proclama favorevole alla democrazia diretta sia poi diretto e gestito nei modi di un sultanato tirannico (più o meno come il Berlusconi dirige il Pdl) allora il comico replica (furbamente come il suo opposto ed uguale omologo di Arcore al quale un Grillo fa così comodo) che nel suo movimento non si devono formare organi come una Segreteria o una Direzione Nazionale perché queste sono robe dei partiti, sono robe di cadaveri, che i partiti sono ‘sputtanati’ e sono morti e via dicendo con anatemi del genere, denotanti in ogni caso una incultura agghiacciante. Intendiamoci; quando il Grillo parla delle debolezze del PD dice cose che hanno una fondatissima base di verità, ma non è il solo a farlo e c’è tanta gente che lo fa prima di lui e indipendentemente da lui. Non basta denunciare il vizio degli altri per avere ragione e per ergersi a santone. L’unico effetto politico reale e concreto che il movimento di Grillo (non lo chiamo a 5 stelle perché mi dà l’idea di un albergo) produrrà sarà quello di annullare le fatiche che in tanti (partiti, movimenti ecc. ecc.) dovremo sobbarcarci in vista del 2013 o quello di dare il colpo di grazia a queste fatiche, come è appena successo in Piemonte. La prima cosa da far capire a tanti giovani in buona fede che vogliono liberarsi di questa Italia marcia e che vogliono liberarsi perciò anche dal pericolo rappresentato da Berlusconi (voglio sperare che nel movimento di Grillo ce ne siano tanti di giovani così; non credo che siano tutti fanatizzati) è che se è vero che non abbiamo bisogno di politici che hanno favorito in tutti i modi l’ascesa e la scalata o la sopravvivenza politica ed economica di Berlusconi, è altrettanto vero che la lotta deve essere quanto più unitaria possibile e che per liberarsi dall’uomo di Arcore l’Italia migliore non ha assolutamente bisogno né di un nuovo Giannini, né di un nuovo Poujade, né di un nuovo Coluche. Mai niente di buono per le vere forze di progresso è venuto dall’avere per compagni di viaggio gente così (ovviamente i tre casi sono diversi; Giannini e Poujade furono decisamente uomini di destra, di una certa destra, l’attore comico Coluche, che è quello a cui Grillo assomiglia di più, fu descritto dalla vedova Veronique come “uomo né di destra né di sinistra”, ma il suo tentativo di candidarsi alle presidenziali del 1981 fu visto come una minaccia da parte della sola sinistra). Sempre che vogliano essere dei compagni di viaggio. 

Nel caso del comico genovese mi sembra che non sia neppure questo il caso; egli vaneggia di un futuro in cui tutti i partiti (leggasi; i partiti del centrosinistra) saranno spariti sotto le cariche dei suoi boys, in cui lui ed i suoi boys saranno i portatori di una rivoluzione dai tratti addirittura messianici. Nell’unico punto in cui la nuova narrazione grillina sembra aperta alla razionalità dialogante con gli altri partiti (tra parentesi; il signor Grillo asserisce che fare alleanze con i partiti fa parte di una vecchia politica, che non è più la politica che si deve fare. La dice seriamente quest’altra ca####a o fa solo finta?) entra in ballo il ‘Programma’, che nella narrazione dei ‘grillini’ assume tratti mitici, palingenetici.  L’enfasi che mettono su questo aspetto è tale per cui vogliono dare ad intendere che col ‘Programma a 5 Stelle’ avremo un mondo nuovo, altro che le quisquilie di liberarsi di Berlusconi… Avremo una società nuova e, forse, visto che ci siamo anche una nuova umanità, una rivoluzione culturale e chi più ne ha più ne metta; una rivoluzione globale e totale, qualcosa di epocale. Un altro genovese ci regalerà, come il suo predecessore di cinque secoli fa, un mondo nuovo. E naturalmente, sempre secondo la narrazione che si diparte sul web, forum dopo forum, blog dopo blog, tutti i partiti dovranno appoggiare il suo programma e possibilmente sciogliersi nel suo Movimento.

Ho deciso di colmare una mia lacuna culturale e sono andato di corsa a studiarmi il Programma.

Cosa contiene di così epocale e rivoluzionario questo programma? Quali idee geniali delle quali mai avremmo potuto avere il dono se non fosse venuto tra di noi il signor Grillo, che conoscevamo prima come simpatico comico e che si è tramutato adesso in un irascibile ed arrogante santone-capopolo impegnato in politica?

Ahimé, vi ho trovato poco o niente; ho trovato solo il segno di una sproporzione incredibile tra ciò che si è e ciò che si dice di essere.

Si tratta di un programma di moderato riformismo, dai tratti spesso anche banali e scontati. Forse anche la definizione di moderato riformismo appare esagerata o troppo generosa; sarebbe più esatto definirlo come un programma di modernizzazione tecnologica. Potrebbe essere tranquillamente il programma di un rinnovato Partito Liberale all’europea o di un partito ecologista poco ideologizzato. Un programma che non ha per nulla bisogno di attendere il giorno dell’Avvento grillinico al Potere per vedere la sua realizzazione e che contiene diversi punti che stanno già per essere attuati da altri partiti del centrosinistra.

Ad esempio, come fa giustamente notare un forumista su “Il Fatto Quotidiano” :

“Grillo chiede il wifi libero, giusto? Ebbene questa è un progetto che sta mettendo in atto l’attuale presidente della Provincia di Roma, Nicola Zingaretti, del PD. Grillo è contrario al nucleare e alla privatizzazione dell’acqua e vuole che si dia impulso alle energie alternative, giusto? Ebbene questo è ciò che sta facendo Vendola in Puglia”.

La gran parte del programma di Grillo parla di internet, di wi-fi, di energie rinnovabili e di trasporti non inquinanti. A parte il fatto che queste cose le dicono e le auspicano anche altri partiti (i Verdi per esempio), per attuare alcuni o molti di questi punti non occorre né una rivoluzione né un Messia; basta, a seconda dei casi, un buon amministratore delegato dell’Enel oppure un ottimo Assessore alla Viabilità ed ai Trasporti. Si può pensare di far nascere un movimento politico e di boicottare il centrosinistra, che cerca di strappare il governo dalle grinfie di un fascista-piduista, solo per il wi-fi gratuito, che milioni e milioni di italiani e di pensionati che fanno la fame con 400 euro al mese neanche sanno cosa sia? E di spacciarlo addirittura come un evento politico messianico?

Ma che stupidaggine è questa? Mancano in questo programma messianico non dico i grandi temi rivoluzionari, come potevano essere i temi del ’68 o del ’77, ma i temi minimamente normali dell’agenda politica; sicurezza, immigrazione, lotta alle mafie, distribuzione del reddito e dei patrimoni, equilibri democratici, laicità, Welfare e via dicendo. Cioè quasi tutto. E che dire poi dell’abolizione del valore legale del titolo di studio, un tema da sempre caro alle destre, ai liberali ed alla Confindustria?  

L’abolizione delle Province? E’ una cosa che ormai vogliono diversi partiti. I punti relativi alla moralizzazione della politica sono ormai entrati nella coscienza comune e su di essi il movimento di Grillo non ha nessuna primogenitura. Siccome mi pare poco elegante parlare di cosa propone il Nuovo Partito d’Azione a tal proposito, mi limito a ricordare le campagne antipartitocratiche dei compagni del Partito Radicale.

Pur non essendoci niente di particolarmente nuovo o di originale nè tantomeno di rivoluzionario nel programma grillino, mi si potrebbe obiettare però il fatto che, a volte, la forza di un programma è nella sua armonia di insieme. Ma qui manca pure quella. Si vede bene che ci sono cose prese da un po’ tutte le parti; il programma ‘grillino’ non comunica alcuna organica e coerente visione di insieme della società. E’ un insieme di items molto sminuzzati e tecnicistici (per capire la portata della prima parte della sezione programmatica dedicata all’energia basterebbe essere un bravo tecnico delle caldaie a gas più che un santone o un leader politico), con piccolissime proposte anche un po’ reazionarie (ad esempio;

l’introduzione di una forte tassazione per l’ingresso nei centri storici di automobili private con un solo occupante a bordo). Oppure basterebbe un buon amministratore di condominio per soddisfare l’ansia messianica prodotta dal bisogno, evidentemente ultraradicale, di istituire “spazi condominiali per il parcheggio delle biciclette”.

Poi c’è un blocco di punti programmatici del tutto ingenui come l’adozione, pensate un po’, di “criteri di trasparenza e di merito nella promozione dei primari”.  C’è il blocco delle proposte vaghissime; investimenti nella ricerca universitaria (ok, ma i soldi dove si prendono?). C’è il blocco delle proposte superate già dalle offerte commerciali dei gestori di utenze pubbliche: eliminazione del canone telefonico per l’allacciamento alla rete fissa del telefono.

L’unica cosa su cui concordo con Grillo ed con i suoi giovani fans è che si tratta di un programma né di destra né di sinistra. E non ideologico: questo glielo concedo ma solo nel senso che non è ‘avanti’ rispetto alle ideologie; è solo abbondantemente sotto le ideologie. E solo nel senso che non sarebbe preso in considerazione per la sua inconsistenza politica né dalla destra né dalla sinistra. Questo Programma è poco più del nulla e questo poco è ottenuto con una del tutto spropositata enfasi sulle nuove tecnologie dell’energia, dell’informazione e della comunicazione internet; è spalmato su tanti piccolissimi obiettivi, del resto ampiamente condivisibili da tutti; è integrato da cosette prese un po’ di qua e un po’ di là. Sui pochissimi punti minimamente densi di valenza politica c’erano e ci sono già altri prima di Grillo (alcune cose le ha prese dai movimenti dei consumatori, tante altre dai verdi, qualcosa da Di Pietro e da altri antiberlusconiani intransigenti, così via). Del programma del Nuovo Partito d’Azione sempre per eleganza non parlo.  

Quindi dal punto di vista culturale e programmatico si può tranquillamente dire che si tratta di un movimento del tutto inconsistente ed inutile. Dal punto di vista più strettamente politico (o se si preferisce, strategico), se il buongiorno si vede dal mattino (elezione di Cota in Piemonte, divisione anche del cuore duro dell’antiberlusconismo), si è in presenza di un movimento dannoso per tutti coloro che vogliono liberarsi di Berlusconi e vivere quindi in un’Italia almeno un po’ più decente. L’unica funzione rilevante del Grillo movement, può essere, lo ripeto volentieri, solo quella che già stiamo vedendo all’opera; una funzione distruttiva per il centrosinistra. Ma finanche su questo aspetto Grillo ha poco da esaltarsi. Per stroncare il centrosinistra basta molto meno (purtroppo) del danno che il signor Grillo potrebbe arrecargli; basta che qualcuno faccia venir meno 24.000 voti. Al contrario, per essere decisivi in senso positivo, basterebbe che qualcuno ce li aggiungesse (la storia delle elezioni del 2006 insegna).

P.S. – L’attacco di Grillo a De Magistris ed al movimento viola ha un precedente molto significativo di cui stranamente nessuno finora ha parlato. E’ un precedente molto illuminante circa il modo di far politica del signor Grillo che consiste nello sparare addosso a tutti qualunquisticamente e demagogicamente e soprattutto nello stroncare proprio coloro che gli sono più vicini o si affidano a lui con speranza di collaborare e di lavorare uniti per un obiettivo. Il precedente è del 2006-2007, allorquando Elio Veltri, Pancho Pardi ed io cercammo di dar vita alla formazione di una Lista Civica Nazionale, tentativo che fu preceduto dalla sottoscrizione di un Manifesto per la Riforma della Politica che fu firmato oltre che da noi tre promotori, anche da Marco Travaglio, da Dario Fo, da Franca Rame, da Antonio Tabucchi, da Lidia Ravera, da Oliviero Beha, da Gianni Barbacetto e da altri. Lo firmò anche Beppe Grillo. Io, in rappresentanza del  ‘Nuovo Partito d’Azione’, ne uscii però  ben presto perché non ero d’accordo con Elio Veltri (col quale comunque sono rimasto e sono tuttora in ottimi rapporti) sia sul fatto di inglobare certi personaggi delle liste civiche romane, sia sul fatto di dipendere troppo dalle fisime di attori, cantanti e nomi noti dello spettacolo, a cominciare proprio da Beppe Grillo. Il tentativo, come è noto, fu sconfessato a sorpresa e ‘a tradimento’ proprio da Beppe Grillo e quindi fallì. Fu un gran peccato, ma su Grillo e sulla sua funzione distruttiva per le aggregazioni in quella vasta area radicalmente antiberlusconiana e legalitaria del centrosinistra avevo visto giusto già da allora. De Magistris può chiedere informazioni al suo collega di partito Pardi. Quindi il fattaccio subito da De Magistris e dai ‘viola’ aveva già dei precedenti e, a parer mio, non potrà fare a meno di ripetersi. 

 
 
 
 
 

Federazione Prc-Pdci; chiari segnali di involuzione politica

Dichiarazione di Pino A. Quartana, Segretariio Nazionale del ‘Nuovo Partito d’Azione’.

Nella giornata di presentazione del nuovo soggetto politico della Sinistra Alternativa, i segretari nazionali del Prc e del Pdci, Ferrero e Diliberto, hanno parlato di una federazione ‘includente’ ed ‘aperta’. Si sono dimenticati però di specificare che essa è aperta solo ad altre sigle comuniste.  Ciò non ha impedito il verificarsi di un paradosso davvero singolare; gli inviti rivolti al comunista Musacchio di SeL, al comunista Ferrando del Pcl ed ai comunisti di ‘Sinistra Critica’ sono stati tutti respinti ai due mittenti. Sembrano disponibili, fra gli invitati, solo alcuni infimi gruppuscoli comunisti universalmente sconosciuti. Ma ovviamente non è solo questo il punto. Ci sono, in sostanza, chiari segnali di una netta e purtroppo irreversibile involuzione politica che li consegnerà all’irrilevanza ed all’isolamento politico per molto tempo o forse addirittura per sempre.

NUOVO PARTITO d’AZIONE

Ufficio Stampa

Roma 19 luglio 2009

Perché abbiamo lasciato SeL

 Soltanto da qualche giorno abbiamo reso pubblica la nostra decisione, la decisione del ‘Nuovo Partito d’Azione’ di lasciare definitivamente la coalizione elettorale di ‘Sinistra e Libertà’ o meglio di non confermare la nostra adesione con una dichiarazione ufficiale. Anzi il 17 marzo avevamo posto una riserva ed il 22 aprile questa riserva l’abbiamo sciolta definitivamente, ma in senso negativo; l’NPA non farà parte della SeL né l’appoggerà esternamente in modo diretto o indiretto. Sono già molti i compagni, gli osservatori e gli amici di altri partiti o movimenti che vorrebbero conoscere le motivazioni di questa nostra presa di distanza, per certi versi inattesa e clamorosa. Non voglio sottrarmi a questa richiesta. L’NPA ha partecipato a diverse riunioni di SeL, riunioni del tavolo di coordinamento generale e riunioni della commissione Programma.

Ci era stato assegnato un certo numero di candidature, senza dire che due punti sui venti del programma di SeL erano stati fortemente voluti da noi azionisti (in particolare il punto in cui si parla di tassa sui patrimoni ed il punto in cui si parla di lotta alle mafie e di confisca dei patrimoni mafiosi). Quindi c’erano tutte le condizioni per aggiungerci ai cinque partner fondatori come membri a tutti gli effetti dell’alleanza (composta dal Movimento per la Sinistra di Vendola, dal Partito Socialista di Nencini, dai Verdi di Grazia Francescato, dal partito di Sinistra Democratica di Fava e dall’associazione Unire la Sinistra di Guidoni). C’è da dire che quando noi ci siamo seduti ai vari tavoli di quella coalizione,  i soci fondatori avevano già stabilito il nome della stessa (che a dire il vero non ci piaceva) ed il logo, che riportava chiaramente solo il simbolo dei Verdi e meno chiaramente quello dei socialisti. Poi c’era un grafema che nelle intenzioni avrebbe dovuto rappresentare SD e MPS ma credo che quasi nessun elettore se ne accorgerà. Naturalmente non abbiamo detto una sola parola sul simbolo né abbiamo chiesto che venisse aggiunto il nostro. Quindi sembrava andasse tutto bene fino al 16 marzo, il giorno della presentazione ufficiale della lista all’Hotel Nazionale di Roma. La sera prima, parlando con uno dei cinque segretari ‘fondatori’, mi veniva chiesto di essere puntuale e presente alla conferenza stampa. Ovviamente, del resto. Sarò anche stato ingenuo almeno in quel momento, ma non avevo dubbi che al tavolo dei presentatori della lista ci sarebbe stata una sedia anche per l’NPA. E invece con mia grande sorpresa ho visto la mattina della conferenza stampa che il tavolo era rimasto a 5. Non c’era  più posto per altri. Il giorno dopo ho chiesto, come era ovviamente nel pieno diritto degli azionisti, spiegazioni in merito, prima in forma verbale e poi in forma ufficiale. Quel giorno mandai due mail; la prima a Marco Di Lello, coordinatore della segreteria socialista e facente funzioni di segretario nazionale in assenza di Nencini, quest’ultimo in cura in ospedale per un incidente stradale, e la seconda, di analogo tenore, a Grazia Francescato, leader dei Verdi. Nella missiva chiedevo che alla prima riunione raggiungibile del Coordinamento generale dell’alleanza di SeL venisse fatta una verifica politica in grado di accertare la “composizione dell’alleanza e lo status delle varie forze politiche all’interno di essa“. Aggiungevo che fino alla riunione del Coordinamento e fino a quando non fosse stato fatto un definitivo chiarimento circa la situazione delle sigle politiche non fondatrici (quindi non solo su Npa; si parlava in quei giorni anche di altri apporti laici), noi neoazionisti avremmo continuato a partecipare ai lavori  delle varie commissioni e dei vari tavoli di lavoro, ma non avremmo partecipato alle manifestazioni esterne, tra cui quella di Piazza Farnese. E così abbiamo fatto per diversi giorni. Nel frattempo però nessuna risposta arrivava per quanto riguardava il legittimo chiarimento da noi richiesto. Ad un certo punto mi accorsi anche che continuavano a fare riunioni senza più chiamarci e a partire da quel momento non ho chiamato,  non abbiamo chiamato più nessuno né mi sono fatto più vivo nei confronti di nessuno dei dirigenti di questi partiti. Nè loro hanno più chiamato noi. Con una sola eccezione; quella di un membro della segreteria nazionale del PS che mi telefonò chiedendomi le ragioni delle nostre lamentele. Gli dissi tutto e mi rispose molto affabilmente che si sarebbe rifatto vivo con qualche risposta. Non si è fatto più sentire neppure lui. Quello di SeL nei nostri riguardi è stato un atteggiamento politico ambiguo, scorretto e, quel che è peggio, assolutamente incomprensibile. Tanto più incomprensibile perché con Verdi e Sinistra Democratica abbiamo collaborato attivamente, anche con nostri candidati, nella lista La SINISTRA che si è presentata nelle elezioni regionali abruzzesi di dicembre. Nello stesso tempo, con i socialisti di Nencini abbiamo dato vita, sin dalla scorsa estate, al ‘Comitato per la Democrazia’. Fino al momento in cui abbiamo chiesto un po’ di chiarezza i rapporti, sia politici, sia personali erano buoni, in qualche caso ottimi, e continui. Poi, di colpo è calato il silenzio totale, come se, invece di chieder loro un po’ di chiarezza sulla composizione dell’alleanza, gli avessimo chiesto chissà quale cosa turpe ed innominabile. A rafforzare ancor più il nostro orientamento di chiudere con loro sopraggiungeva nel frattempo una incredibile dichiarazione di Nicky Vendola su Berlusconi (cfr. agenzie del 24 marzo) . Il leader di SeL definiva Berlusconi come  “un uomo geniale e strabiliante” , come ‘”un individuo geniale”, come  “un self made man che riesce a costruire un’intera epopea della vita culturale nazionale” , come ” un prototipo di uomo nuovo che si e’ saputo imporre sulla scena italiana”. Vendola disse pure che “Noi abbiamo fatto un errore tragico: demonizzare il personaggio e intenderne poco il meccanismo culturale di riproduzione del consenso. La sinistra e’ stata molto contro Berlusconi mentre diventava berlusconiana dentro le proprie viscere e i propri accampamenti”. Sarebbe meglio di fronte a quest’ultima (questa sì davvero strabiliante) affermazione di Vendola che il capo di SeL parlasse solo per    sè. In ogni caso, uno che dice cose del genere non può parlare anche per il ‘Nuovo Partito d’Azione’, né l’Npa può sentirsi minimamente rappresentato da una coalizione di sinistra  il cui capo si esprime in questi termini. Abbiamo preso le distanze da SeL anche per questo. A dire il vero ci sarebbe ancora qualche altra cosa da dire su di loro, ma credo che queste due possano bastare ampiamente a spiegare le ragioni del nostro abbandono.

Il malaffare dei potenti è più colpevole della pur crudele natura

Abbiamo aspettato alcuni giorni prima di intervenire sul terremoto in Abruzzo e prima di dare la solidarietà del nostro Partito, del ‘Nuovo Partito d’Azione’ e di tutta la comunità neoazionista italiana,  alle popolazioni abruzzesi colpite dalla tragedia del sisma, cosa che comunque facciamo, sebbene in ritardo, con la presente nota. Ma il ritardo non è casuale. Appena saputo che strutture recenti come l’Ospedale San Salvatore o come la Casa dello Studente costruite, almeno teoricamente, col cemento armato erano miseramente crollate, causando un numero incredibile di morti, abbiamo esitato a parlare immediatamente di questa nuova ed ennesima tragedia annunciata perché volevamo verificare un certo sospetto che subito ci è balzato in mente. Man mano che passavano le ore ed i giorni e che emergevano dalle macerie i corpi estratti, aumentavano sempre più anche le probabilità che il nostro sospetto, insinuatosi in noi già dalle prime ore dopo la scossa delle ore 3.32,  si rivelasse purtroppo fondato; il sospetto che dietro questa immane catastrofe abruzzese ci fossero non solo la crudeltà della natura, ma anche, se non soprattutto, ragioni umane, anzi troppo umane. Puntando l’indice accusatorio verso quest’ultime ci verrebbe voglia di parafrasare Pier Paolo Pasolini quando in un memorabile intervento scriveva che lui sapeva la verità (si riferiva alla verità sui misteri criminali d’Italia), ma che non ne aveva né le prove né gli indizi. Qui invece degli indizi corposi stanno emergendo. Incredibile la vicenda dei due palazzi gemelli di via Campo di Fassa all’Aquila. Uno è
andato giù, e ha fatto 27 morti. L’altro è ancora in piedi.

Stanno emergendo dalle macerie pilastri fradici e di cemento impastato di sabbia di mare (bel cemento armato, armato per uccidere gli abitanti delle case!), materiali di scarto grazie ai quali è possibile raddoppiare i profitti. Ecco il sospetto già confermato a pochi giorni dal sisma. Lo sentivamo per intuito che avevamo visto giusto. Per questo abbiamo ritenuto opportuno aspettare qualche giorno per poter dire qualcosa di sensato dal punto di vista politico. Siamo purtroppo alle solite. Questo è un Paese in cui l’illegalità e la delinquenza sono diffuse tanto in alto quanto in basso.
Questo è un Paese in cui l’avidità di guadagno di palazzinari senza troppi scrupoli ed un capitalismo di rapina e di truffa, sono sempre stati protetti dal potere politico prima fiorito all’ombra del Cupolone democristiano e successivamente della destra berlusconiana che ne ha ereditato le seconde, le terze e le quarte file (con l’aggiunta del 90% di quel che fu il Partito Socialista di Craxi). Tanto per rimanere in ambito abruzzese, chi si ricorda, ad esempio, di Rocco Salini, democristiano, assessore, dal 1990 al 1992 e presidente della regione Abruzzo,  costretto a dimettersi dopo essere stato condannato ad un anno e 4 mesi di reclusione per falso ideologico e abuso d’ufficio (unico condannato della giunta regionale d’Abruzzo, arrestata in blocco per l’uso scorretto di 450 miliardi di fondi europei)? Chi accolse Salini, chi gli dette il passpartout per una nuova fase della sua carriera politica? Ma lui naturalmente, il grande ed eterno campione della causa di santificazione di tutte le povere vittime della furia giustizialista. Chi lo candidò e quindi permise che fosse eletto consigliere regionale nel 2000 nelle liste di Forza Italia, chi nel 2005 lo nominò sottosegretario alla Sanità nel suo governo? Sempre lui, Berlusconi Silvio, quello che in questi giorni passeggiando per le vie dell’Aquila  va recitando la nuova sceneggiata del  buon papà populista che reclama giustizia per la povera terra d’Abruzzo, come se lui in questi ultimi lustri fosse sempre stato in una delle sue dorate ville a godersi il sole.
Questo è un Paese in cui l’attuale mancanza di soldi per la messa a norma degli edifici e per i controlli non è solo il frutto di una volontà di coprire sempre i colpevoli a spese della vita della gente normale, ma della presenza di un debito pubblico creato dal malgoverno democristiano e dai suoi alleati laici, debito pubblico che è assurto a dimensioni gigantesche anche per tutte le opere pubbliche inutili che hanno ingrassato solo i palazzinari, la mafia ed il ceto politico corrotto, tutti uniti da un patto scellerato.
Dalle macerie dell’Aquila emergono misfatti edilizi compiuti venti o trent’anni fa. La cosa più incredibile dal punto di vista tecnico è che le case migliori, quelle che hanno retto meglio l’urto, sono state costruite più di trent’anni fa. Addirittura il vecchio ospedale, costruito nel 1700, non ha subito neppure una crepa mentre il moderno ospedale San Salvatore si è afflosciato su se stesso.  Casi isolati, scherzi della natura, giochi del destino? No, nulla di tutto questo; chissà quanti palazzi e strutture, soprattutto nel centrosud sismico, sono stati costruiti così ed ancora non lo sappiamo. Ciò che intuivamo lunedì, poche ore dopo la scossa fatale, è già chiaro a tutti; si è calcolato male dove costruire, si è costruito male, si è rubato sui materiali, non si sono mai fatti controlli durante la costruzione e dopo la costruzione, non si sono osservate le norme antisismiche. Fino a pochi giorni fa il dibattito politico nazionale ruotava intorno ad un grottesco piano-casa  fortemente voluto dal governo Berlusconi non per rimettere in piedi l’economia sconvolta dall’altro tsunami, quello finanziario, ma, come al solito in questo disgraziato e bellissimo Paese, per fare un altro, l’ennesimo, regalo, ai palazzinari, al popolino evasore degli artigiani edili, insomma alla base elettorale della destra berlusconiana, a quello stesso blocco sociale che, quando i moderni e malsani palazzi dell’Aquila venivano tirati su, costituiva la base del consenso, anche allora quasi plebiscitario specialmente nelle regioni del centrosud, alla DC (e purtroppo anche ai partiti laici minori che tennero bordone alla DC per decenni diventandone la brutta copia).
A forte rischio, dicono i tecnici dopo i primi sopralluoghi tra le macerie, sono tutte le costruzioni degli ultimi trent’anni (cioè proprio quelle che invece dovrebbero essere le migliori). Quindi la de-regulation edilizia, chiamiamola così, è iniziata trent’anni fa (in realtà c’era già da prima, ma non aveva forse avuto la spavalderia degli ultimi trent’anni effettivamente). E’ incredibile la coincidenza. Trent’anni fa l’esaltazione acritica del capitalismo senza regole faceva sragionare anche famosi intellettuali che vedevano in essa il segno di una bella ‘fine della storia’, trent’anni fa le politiche neoliberiste di Reagan e della sua omologa inglese ‘Maggie’ dettero il la ad una fase di de-regulation finanziaria ed economica che ora, in sincronia con il disastro abruzzese, si manifesta sotto gli occhi di tutti. La de-regulation finanziaria mondiale e la de-regulation edilizia italiana  producono ambedue,  trent’anni dopo, disastrosi crolli e sciagure. E come il disastro della finanza ha indicato, ma non ancora in Italia purtroppo, il segnale di una inversione politica, lo stesso dovrebbe succedere, se l’Italia fosse un paese normale, nel campo edilizio.  Ciò dovrebbe valere anche per gli altri ambiti della società. I responsabili dello sfasciume edilizio ed idrogeologico sono gli stessi che hanno prodotto lo spaventoso debito pubblico che abbiamo, sono gli stessi che hanno consentito il prosperare arrogante della grande criminalità mafiosa, coprendola e facendoci anche un sacco di affari insieme, sono gli stessi che hanno consentito una concentrazione intollerabile della ricchezza con un 10% che detiene il 52% di tutte le attività finanziarie, sono gli stessi che hanno coperto o addirittura costruito i grandi misteri criminali d’Italia (dalla strage di Piazza Fontana fino alla vicenda del Banco Ambrosiano di Calvi ecc. ecc.), sono gli stessi, per venire agli episodi più recenti, che hanno strappato illegittimamente le inchieste al pm di Catanzaro Luigi De Magistris. E se la destra è il collettore orgoglioso di tutte le istanze di illegalità e di malaffare, anche il centrosinistra non è immune dalla malapolitica e dal malaffare anche perché se è scomparsa la Balena Bianca non sono mai spariti i balenotti scudocrociati, che, anzi, oggi dominano, come sempre, la scena sparpagliati in tanti partiti e, soprattutto, non sono scomparse le pessime pratiche di cui la DC è stata somma maestra. Nulla o quasi è riuscito a sfuggire al Grande Saccheggio d’Italia da parte di una classe politica delinquenziale che ha fatto sempre affari con la mafia e che ha fatto nascere una borghesia mafiosa e collusa con l’illegalità, una nuova classe sociale che è il vero cancro oggi di questo povero Paese. Il settore delle costruzioni è stato ed è il suo terreno elettivo.
Questo è un Paese in cui le buone leggi, che poi restano inapplicate, seguono sempre le catastrofi. Non bastò il terremoto dell’Irpinia e della Basilicata per codificare la cultura della sicurezza antisismica. Si dovette attendere il terremoto di San Giuliano nel Molise con tutte quelle scene strazianti, anche per noi telespettatori, di quei poveri bambini seppelliti dalle macerie.
Ma poi proprio il governo Berlusconi con Scajola ha fatto di tutto per rimandare l’applicazione delle norme antisismiche ed alla fine sono riusciti a spostarle nel 2010. La faccia di tolla dei politici della destra berlusconiana non ha proprio limiti. Ogni giorno il nuovo ducetto vestito in ‘noir’ non si fa scrupolo di mostrarsi a contatto con la popolazione dell’Aquila negli atteggiamenti tipici dell’Uomo della Provvidenza con la scusa che è suo dovere essere presente fisicamente all’Aquila al fine di non lasciar soli i terremotati. L’ultima sua  trovata ‘piaciona’ è stata quella di mettere le sue lussuose dimore al servizio dei terremotati. Aspettiamo ansiosi la sua prossima emulazione grottesca dell’uomo di Predappio. Quanto tempo dovremo aspettare per vedere il barzellettiere in qualche campagna assolata d’estate a mietere il grano a torso nudo?
Se c’è uno in Italia che non dovrebbe manco farsi vedere per le vie dell’Aquila ferita a morte questo è proprio il signor B.  
Il piano casa di qualche giorno fa è solo l’ultima di una lunghissima serie di atti politici e di governo sempre e solo in favore dei predatori e mai a favore della giustizia, della gente comune e della legalità. La prima cosa che fece nel suo primo governo fu proprio l’abolizione della legge Merloni sui cantieri, che non era nemmeno mai stata applicata.  Esempi di questo tipo ce ne sono a iosa, ma purtroppo la memoria della gente d’Italia è davvero troppo corta.  
 

Il malaffare dei potenti è più colpevole della pur crudele natura

Abbiamo aspettato alcuni giorni prima di intervenire sul terremoto in Abruzzo e prima di dare la solidarietà del nostro Partito, del ‘Nuovo Partito d’Azione’ e di tutta la comunità neoazionista italiana,  alle popolazioni abruzzesi colpite dalla tragedia del sisma, cosa che comunque facciamo, sebbene in ritardo, con la presente nota. Ma il ritardo non è casuale. Appena saputo che strutture recenti come l’Ospedale San Salvatore o come la Casa dello Studente costruite, almeno teoricamente, col cemento armato erano miseramente crollate, causando un numero incredibile di morti, abbiamo esitato a parlare immediatamente di questa nuova ed ennesima tragedia annunciata perché volevamo verificare un certo sospetto che subito ci è balzato in mente. Man mano che passavano le ore ed i giorni e che emergevano dalle macerie i corpi estratti, aumentavano sempre più anche le probabilità che il nostro sospetto, insinuatosi in noi già dalle prime ore dopo la scossa delle ore 3.32,  si rivelasse purtroppo fondato; il sospetto che dietro questa immane catastrofe abruzzese ci fossero non solo la crudeltà della natura, ma anche, se non soprattutto, ragioni umane, anzi troppo umane. Puntando l’indice accusatorio verso quest’ultime ci verrebbe voglia di parafrasare Pier Paolo Pasolini quando in un memorabile intervento scriveva che lui sapeva la verità (si riferiva alla verità sui misteri criminali d’Italia), ma che non ne aveva né le prove né gli indizi. Qui invece degli indizi corposi stanno emergendo. Incredibile la vicenda dei due palazzi gemelli di via Campo di Fassa all’Aquila. Uno è
andato giù, e ha fatto 27 morti. L’altro è ancora in piedi.

Stanno emergendo dalle macerie pilastri fradici e di cemento impastato di sabbia di mare (bel cemento armato, armato per uccidere gli abitanti delle case!), materiali di scarto grazie ai quali è possibile raddoppiare i profitti. Ecco il sospetto già confermato a pochi giorni dal sisma. Lo sentivamo per intuito che avevamo visto giusto. Per questo abbiamo ritenuto opportuno aspettare qualche giorno per poter dire qualcosa di sensato dal punto di vista politico. Siamo purtroppo alle solite. Questo è un Paese in cui l’illegalità e la delinquenza sono diffusi tanto in alto quanto in basso.
Questo è un Paese in cui l’avidità di guadagno di palazzinari senza troppi scrupoli ed un capitalismo di rapina e di truffa, sono sempre stati protetti dal potere politico prima fiorito all’ombra del Cupolone democristiano e successivamente della destra berlusconiana che ne ha ereditato le seconde, le terze e le quarte file (con l’aggiunta del 90% di quel che fu il Partito Socialista di Craxi). Tanto per rimanere in ambito abruzzese, chi si ricorda, ad esempio, di Rocco Salini, democristiano, assessore, dal 1990 al 1992 e presidente della regione Abruzzo,  costretto a dimettersi dopo essere stato condannato ad un anno e 4 mesi di reclusione per falso ideologico e abuso d’ufficio (unico condannato della giunta regionale d’Abruzzo, arrestata in blocco per l’uso scorretto di 450 miliardi di fondi europei)? Chi accolse Salini, chi gli dette il passpartout per una nuova fase della sua carriera politica? Ma lui naturalmente, il grande ed eterno campione della causa di santificazione di tutte le povere vittime della furia giustizialista. Chi lo candidò e quindi permise che fosse eletto consigliere regionale nel 2000 nelle liste di Forza Italia, chi nel 2005 lo nominò sottosegretario alla Sanità nel suo governo? Sempre lui, Berlusconi Silvio, quello che in questi giorni passeggiando per le vie dell’Aquila  va recitando la nuova sceneggiata del  buon papà populista che reclama giustizia per la povera terra d’Abruzzo, come se lui in questi ultimi lustri fosse sempre stato in una delle sue dorate ville a godersi il sole.
Questo è un Paese in cui l’attuale mancanza di soldi per la messa a norma degli edifici e per i controlli non è solo il frutto di una volontà di coprire sempre i colpevoli a spese della vita della gente normale, ma della presenza di un debito pubblico creato dal malgoverno democristiano e dai suoi alleati laici, debito pubblico che è assurto a dimensioni gigantesche anche per tutte le opere pubbliche inutili che hanno ingrassato solo i palazzinari, la mafia ed il ceto politico corrotto, tutti uniti da un patto scellerato.
Dalle macerie dell’Aquila emergono misfatti edilizi compiuti venti o trent’anni fa. La cosa più incredibile dal punto di vista tecnico è che le case migliori, quelle che hanno retto meglio l’urto, sono state costruite più di trent’anni fa. Addirittura il vecchio ospedale, costruito nel 1700, non ha subito neppure una crepa mentre il moderno ospedale San Salvatore si è afflosciato su se stesso.  Casi isolati, scherzi della natura, giochi del destino? No, nulla di tutto questo; chissà quanti palazzi e strutture, soprattutto nel centrosud sismico, sono stati costruiti così ed ancora non lo sappiamo. Ciò che intuivamo lunedì, poche ore dopo la scossa fatale, è già chiaro a tutti; si è calcolato male dove costruire, si è costruito male, si è rubato sui materiali, non si sono mai fatti controlli durante la costruzione e dopo la costruzione, non si sono osservate le norme antisismiche. Fino a pochi giorni fa il dibattito politico nazionale ruotava intorno ad un grottesco piano-casa  fortemente voluto dal governo Berlusconi non per rimettere in piedi l’economia sconvolta dall’altro tsunami, quello finanziario, ma, come al solito in questo disgraziato e bellissimo Paese, per fare un altro, l’ennesimo, regalo, ai palazzinari, al popolino evasore degli artigiani edili, insomma alla base elettorale della destra berlusconiana, a quello stesso blocco sociale che, quando i moderni e malsani palazzi dell’Aquila venivano tirati su, costituiva la base del consenso, anche allora quasi plebiscitario specialmente nelle regioni del centrosud, alla DC (e purtroppo anche ai partiti laici minori che tennero bordone alla DC per decenni diventandone la brutta copia).
A forte rischio, dicono i tecnici dopo i primi sopralluoghi tra le macerie, sono tutte le costruzioni degli ultimi trent’anni (cioè proprio quelle che invece dovrebbero essere le migliori). Quindi la de-regulation edilizia, chiamiamola così, è iniziata trent’anni fa (in realtà c’era già da prima, ma non aveva forse avuto la spavalderia degli ultimi trent’anni effettivamente). E’ incredibile la coincidenza. Trent’anni fa l’esaltazione acritica del capitalismo senza regole faceva sragionare anche famosi intellettuali che vedevano in essa il segno di una bella ‘fine della storia’, trent’anni fa le politiche neoliberiste di Reagan e della sua omologa inglese ‘Maggie’ dettero il la ad una fase di de-regulation finanziaria ed economica che ora, in sincronia con il disastro abruzzese, si manifesta sotto gli occhi di tutti. La de-regulation finanziaria mondiale e la de-regulation edilizia italiana  producono ambedue,  trent’anni dopo, disastrosi crolli e sciagure. E come il disastro della finanza ha indicato, ma non ancora in Italia purtroppo, il segnale di una inversione politica, lo stesso dovrebbe succedere, se l’Italia fosse un paese normale, nel campo edilizio.  Ciò dovrebbe valere anche per gli altri ambiti della società. I responsabili dello sfasciume edilizio ed idrogeologico sono gli stessi che hanno prodotto lo spaventoso debito pubblico che abbiamo, sono gli stessi che hanno consentito il prosperare arrogante della grande criminalità mafiosa, coprendola e facendoci anche un sacco di affari insieme, sono gli stessi che hanno consentito una concentrazione intollerabile della ricchezza con un 10% che detiene il 52% di tutte le attività finanziarie, sono gli stessi che hanno coperto o addirittura costruito i grandi misteri criminali d’Italia (dalla strage di Piazza Fontana fino alla vicenda del Banco Ambrosiano di Calvi ecc. ecc.), sono gli stessi, per venire agli episodi più recenti, che hanno strappato illegittimamente le inchieste al pm di Catanzaro Luigi De Magistris. E se la destra è il collettore orgoglioso di tutte le istanze di illegalità e di malaffare, anche il centrosinistra non è immune dalla malapolitica e dal malaffare anche perché se è scomparsa la Balena Bianca non sono mai spariti i balenotti scudocrociati, che, anzi, oggi dominano, come sempre, la scena sparpagliati in tanti partiti e, soprattutto, non sono scomparse le pessime pratiche di cui la DC è stata somma maestra. Nulla o quasi è riuscito a sfuggire al Grande Saccheggio d’Italia da parte di una classe politica delinquenziale che ha fatto sempre affari con la mafia e che ha fatto nascere una borghesia mafiosa e collusa con l’illegalità, una nuova classe sociale che è il vero cancro oggi di questo povero Paese. Il settore delle costruzioni è stato ed è il suo terreno elettivo.
Questo è un Paese in cui le buone leggi, che poi restano inapplicate, seguono sempre le catastrofi. Non bastò il terremoto dell’Irpinia e della Basilicata per codificare la cultura della sicurezza antisismica. Si dovette attendere il terremoto di San Giuliano nel Molise con tutte quelle scene strazianti, anche per noi telespettatori, di quei poveri bambini seppelliti dalle macerie.
Ma poi proprio il governo Berlusconi con Scajola ha fatto di tutto per rimandare l’applicazione delle norme antisismiche ed alla fine sono riusciti a spostarle nel 2010. La faccia di tolla dei politici della destra berlusconiana non ha proprio limiti. Ogni giorno il nuovo ducetto vestito in ‘noir’ non si fa scrupolo di mostrarsi a contatto con la popolazione dell’Aquila negli atteggiamenti tipici dell’Uomo della Provvidenza con la scusa che è suo dovere essere presente fisicamente all’Aquila al fine di non lasciar soli i terremotati. L’ultima sua  trovata ‘piaciona’ è stata quella di mettere le sue lussuose dimore al servizio dei terremotati. Aspettiamo ansiosi la sua prossima emulazione grottesca dell’uomo di Predappio. Quanto tempo dovremo aspettare per vedere il barzellettiere in qualche campagna assolata d’estate a mietere il grano?
Se c’è uno in Italia che non dovrebbe manco farsi vedere per le vie dell’Aquila ferita a morte questo è proprio il signor B.  
Il piano casa di qualche giorno fa è solo l’ultima di una lunghissima serie di atti politici e di governo sempre e solo in favore dei predatori e mai a favore della giustizia, della gente comune e della legalità. La prima cosa che fece nel suo primo governo fu proprio l’abolizione della legge Merloni sui cantieri, che non era nemmeno mai stata applicata.  Esempi di questo tipo ce ne sono a iosa, ma purtroppo la memoria della gente d’Italia è davvero troppo corta.  
 
 
 
 
 

 

 

 

 

Replica sulla società azionista

 
                                      
                                  
 
Comincio dall’azionismo dicendo a Massimo Messina che non abbiamo la pretesa assoluta che il nostro azionismo sia l’unico storicamente manifestatosi. Sappiamo bene che ci sono e soprattutto ci sono state varie correnti dell’azionismo e del liberalsocialismo. Certo è che dal momento che siamo l’unico soggetto azionista del panorama politico italiano odierno cercheremo, nei limiti del possibile, di racchiuderle tutte. Se questo sarà sempre possibile non mi è però dato di affermarlo con certezza fin da questo momento. La cosa determinante è che abbiamo fatto una scelta ben chiara di quale possa essere la proposta neoazionista che ci piace e che riteniamo l’unica dotata di forza penetrativa. Tale proposta è esattamente quella che la stragrande maggioranza dell’NPA sta assumendo come propria. Vengo subito agli altri punti. Io tanto mite, a dire il vero, non sono, se debbo parlare solo per me personalmente così come tu fai per quel che ti riguarda. Il mite giacobino era una evidente allusione a Galante Garrone che scherzava su quel “mite” per difendersi dalle violenti accuse della nostra destra ‘stracciarola’ che voleva far passare gli azionisti, specialmente gli azionisti torinesi, per dei novelli Robespierre livorosi ed avidi di sangue. Al che Galante Garrone ed altri rispondevano che gli azionisti avevano imbracciato le armi nella Resistenza non per instaurare il Terrore, ma per farlo finire ed io aggiungerei anche che se quello, il PdA, era il “partito dei fucili”, quei fucili avevano il compito di stroncare la barbarie di chi imbracciava i mitra per seminare ovunque la morte. Sui successivi punti ti prego di non considerarmi sempre come la voce ufficiale del Partito. Come vedi, sto scrivendo sul mio blog personale e quindi ti prego di interpretare alcune mie considerazioni come l’espressione anche dell’intellettuale e non solo del politico o del segretario del Partito. E’ effettivamente molto probabile che se fossimo vissuti in una democrazia di fatto oltre che di nome il ’68 ed il ’77 non ci sarebbero stati. E’ comunque prudente tener conto anche del fatto che la nostra o la mia interpretazione del ’77 è una interpretazione particolare e che nel ’68 ci sono state diverse anime. Io personalmente sono sempre stato vicinissimo all’anima hippy, beat, libertaria, rock, californiana del ’68 e molto ma molto meno (o, se vuoi, proprio per niente) a quella che si è imposta in modo maggioritario in Europa ed in Italia, l’anima dell’estremismo comunista che ha molte responsabilità anche sulla mancanza di risultati del ’68. E’ un discorso molto complesso che non mi azzardo neppure a voler svolgere in questa sede. Comunque era dubbio che i movimenti avrebbero potuto ricondurre i partiti nell’alveo di una vera democrazia. Non dimentichiamoci mai che viviamo in Italia, non in Danimarca o Norvegia. Quel che è politicamente più importante è che tu concordi con me (e con l’NPA) sul fatto che la nostra democrazia sia stata massacrata. Altrettanto importante è che tu sottoscriva in pieno la teoria e la pratica della ‘seconda società’ alla quale come giovane precario senza santi in Paradiso appartieni indubbiamente. In sede più teoretica potrei anche farti notare che il nucleo della teoria della seconda società, da noi reinterpretata ed aggiornata secondo un’ottica diversa, proviene storicamente proprio dal ’77, ma questo è un discorso che si può tranquillamente tralasciare in questa sede. Dovremmo elaborare anche una teoria del “regime”, ma anche questo è un compito che possiamo affrontare successivamente. Nel frattempo, i giovani si stanno finalmente svegliando e la cosa non può che farmi un immenso piacere. Caro Massimo, la nostra base sociale (se ti riferisci alla ‘seconda società’) ci comprende eccome e noi la comprendiamo benissimo. Qui il problema non è nella nostra capacità di farci capire, ma nella possibilità di parlare pubblicamente e di raggiungere con la nostra voce una base sociale che ammonta almeno a tre milioni di italiani. Questo è il vero problema, fidati di me. Dove invece non c’è possibilità di intesa tra me e te (lasciamo stare gli altri compagni che, se vogliono, possono intervenire per conto loro sul tema) è sulla legittimità di poteri occulti o di associazioni segrete che contraddicono sia lo spirito dell’autentica laicità che quello della più radicale istanza democratica, per non parlare della legalità. In questo noi dell’Npa siamo (a quanto pare con la tua sola nota di dissenso che, come vedi, benché assolutamente non condivisa non viene né stroncata, né stigmatizzata) nel filone maggioritario dell’azionismo, anche se so bene che, almeno fino ad una certa data, c’erano tra gli azionisti del vecchio PdA degli aderenti alla Massoneria. Purtroppo per te e per chi la pensa come te la cronaca nera quotidiana parla da sola a proposito del vero ruolo di quel tipo di associazione. Poi abbiamo anche uno Statuto e, come tutti i partiti seri, a quello ci atteniamo scrupolosamente. Il nostro Statuto parla chiaro su quel punto. Concludo la mia replica a te Massimo toccando nuovamente il punto del liberismo. Abbiamo detto di lasciar perdere i nominalismi astratti. Bene. Osservando vari fenomeni che stanno determinando una apocalissi sociale ed economica planetaria la stragrande maggioranza dei commentatori ne dà colpa al liberismo selvaggio. Poi possiamo chiamare il liberismo selvaggio anche topolino, ma la cosa è quella lì che stiamo vedendo con panico ed angoscia da circa un anno. Anche prima dell’ultimo anno le cose non andavano bene lo stesso. Forse questo è il punto che dobbiamo approfondire di più noi neoazionisti ed è quello maggiormente sollevato anche da Piero Ferrari e da Andrea Fontana. Giustamente Piero fa una distinzione fra liberismo selvaggio e capitalismo. Il capitalismo è un fenomeno più vasto del liberismo selvaggio, che è la cifra delle destre di tutto il mondo nell’epoca contemporanea. Non c’è solo il capitalismo alla maniera sudamericana o alla maniera dei conservatori Usa. Una volta a questi modelli di destra si contrapponeva anche il modello renano. La socialdemocrazia scandinava ha stretto da decenni un patto con il capitalismo (l’antesignano ideologico di quel patto era Eduard Bernstein con I presupposti del socialismo e i compiti della socialdemocrazia del 1899). Il socialismo liberale di Rosselli procede anch’esso dalla originaria intuizione di Bernstein. E quando la Agnes Heller negli anni ’70 (erano proprio le teorie della Heller che andavano più di moda nel movimento del ’77 italiano) teorizzava la “società radicale” sostenendo, in sostanza, che la democrazia può sussistere anche senza il capitalismo, io fui l’unico a replicare da un punto di vista riformista rigettando quella dissociazione perché dicevo (cfr. Riformismo e bisogni. prima edizione Milano 1982, edizione definitiva Antonio Pellicani, Roma, 1990) che è esattamente il contrario; il capitalismo può vivere (ed anche molto bene) senza la democrazia, ma la democrazia non può vivere senza la libera iniziativa privata e senza il capitalismo, tanto è vero che il capitalismo senza la democrazia lo vediamo sia nei  sistemi politici comunisti (Cina) che in quelli fascisti del Sudamerica, ma il contrario non l’abbiamo mai visto. Bene, ma noi del ‘Nuovo Partito d’Azione’ non abbiamo mai detto che bisogna abolire l’iniziativa e la proprietà privata ed io non posso davvero essere sospettato di anticapitalismo ideologico e preconcetto. Sorprenderò Massimo Messina dicendogli che per un breve periodo ho guardato con un certo interesse ed un certo limitato favore anche al movimento ‘libertarian’ californiano. Ho riflettuto molto sulla congruità dello Stato minimo di Nozick ed una volta, anche per gusto del paradosso, ho addirittura detto in una intervista ad un quotidiano che non sarebbe del tutto assurdo neppure pensare ad un ossimorico ircocervo libertariano-socialista a patto che fossimo capaci poi di eliminare quasi completamente le spese dell’apparato pubblico statale, a cominciare dai troppi sprechi e dai troppi privilegi. In teoria, forse sarebbe pure possibile e così ragionavo da filosofo della politica. Poi da politico, anni dopo, in un’altra veste ed in altri contesti storici, faccio dei discorsi che possono anche essere abbastanza diversi. Comunque ricordo queste cose per dire (soprattutto al compagno Messina) che non sono e non siamo degli anticapitalisti forsennati. Se lo fossimo, avremmo già da tempo preso la tessera di qualche partito comunista. Invece siamo azionisti; né di destra (cioè né liberisti selvaggi), né comunisti, ma neppure più socialdemocratici sic et simpliciter. Siamo azionisti.
Ed io come segretario del ‘Nuovo Partito d’Azione’, un partito sì ancora molto piccolo, ma  in sicura crescita e che vuole avere un futuro (al contrario di molte sigle e siglette estemporanee o doppione o mere liste elettorali, destinate, come già stiamo vedendo, alla sparizione), so che il nostro non sarà un partito inutile o doppione o incolore solo se riusciremo a proporre (anche) un nuovo modello di società che si differenzi dai tre modelli testé citati, tutti ormai obsoleti (per quanto io ponga il modello socialdemocratico di dieci spanne al di sopra degli altri due). Sul liberalsocialismo ripeto cose già dette molte volte; il liberalsocialismo resta ancora una formula troppo vaga se non riempita di precisi input programmatici. In aggiunta, il liberalsocialismo non è ancora azionismo, altrimenti potremmo addirittura essere anche dei sodali di Sacconi o di De Michelis e potremmo anche sostenere Berlusconi, come molti (sedicenti) liberalsocialisti di provenienza Psi (oggi Nuovo PSI o FI) hanno fatto e purtroppo stanno ancora facendo. Con questo entro anche nel merito delle cose dette da Andrea Fontana. A quest’ultimo devo ribadire molte delle cose che a suo tempo ebbi modo di dirgli e cioè che certamente il liberalsocialismo non è né un socialismo che può andare d’accordo con la destra berlusconiana, né la sovrapposizione di socialismo e di liberismo (che è veramente una bestemmia se per liberismo intendiamo non la cosa reclamata da Messina, ma ciò a cui tutti stanno assistendo in questi ultimi tempi). Voglio far notare che questa mentalità liberista (ma il problema non è solo il liberismo) o conservatrice-moderata, in campo economico e sociale è presente anche in ampi settori dello stesso centrosinistra (Pd, Ps ed anche Idv non ne sono assolutamente estranei). E’ un’eresia di sinistra, caro Andrea, qualcuno, nel caso dell’NPA, si spinge addirittura a dire di “estrema sinistra”. Una sinistra o addirittura una estrema sinistra, quella NPA, al tempo stesso non anticapitalista (sembra un paradosso essendo stati abituati alla ‘rossa’ sinistra italiana), ma sicuramente antiliberista, sicuramente opposta, concordo con Piero Ferrari, all’assolutismo egemonico ed antidemocratico del Capitale celebrato dal liberismo selvaggio di scuola “Chicago Boys”.
Sempre per Andrea; abbi pazienza, caro Andrea, ma se uno vuole un liberalsocialismo alla De Michelis sa a che partito iscriversi e se vuole un liberalsocialismo azionista, molto progettuale e sperimentale e molto di sinistra, sa pure che esiste il Nuovo Partito d’Azione. Non ci siamo iscritti alla Costituente socialista sia per motivi di forma (non abbiamo intenzione di farci risucchiare da nessuno), sia per motivi di sostanza (il nostro liberalsocialismo ci porta a esiti molto lontani da quello della Costituente Socialista). Inoltre, nell’NPA non ci sono correnti; ci possono essere delle sfumature, delle dissonanze a livello personale su singoli punti, ma non ci sono correnti né culturali, né politiche. Siamo molto fieri del fatto che possiamo ormai vantare una straordinaria compattezza, anche ideologica, quella che invece purtroppo non c’era nel PdA, possiamo ben dirlo con tutta modestia ed umiltà. Poi, è vero che posizioni come quella di Messina sembrano a metà strada tra NPA e PR, ma se il compagno Messina ha scelto di militare nell’NPA credo che avrà fatto le sue scelte e noi di certo ne siamo ben lieti. Comunque, su questo punto sollevato dal compagno Fontana, è meglio che risponda eventualmente il compagno Messina cioè il diretto interessato. A tutti e tre e specialmente ad Andrea Fontana vorrei far capire meglio in cosa si differenzia una ideale società azionista dalle altre tre, la liberista (elevata a modello da un vasto fronte di forze e culture politiche, dai fascisti ai liberali, dai conservatori fino ai democristiani del Ppe), la socialdemocratica (in cui si riconoscono i socialisti europei, ma non so fino a che punto vi si riconoscono de facto e non a parole anche i molti gruppi sparsi del socialismo italiano, compresi gli ambienti Pd di provenienza ds e Sd), la comunista. Detto in parole semplici e sintetiche, noi Npa, noi azionisti italiani di oggi, vorremmo un tipo di società che non corrisponde a nessuno dei tre modelli di cui sopra.
Al contrario dei comunisti, non vogliamo abolire né la proprietà privata né l’iniziativa economica privata sostituendo il dominio del Capitale con il dominio dello Stato,  eliminando sia i ricchi che i poveri a favore di una società in cui tutti siano uguali ma nella miseria (naturalmente anche molti comunisti italiani diranno, come Massimo Messina fa per quanto attiene al liberismo, che il comunismo non è quello che abbiamo visto per decenni nei Paesi dell’Est, ma noi azionisti stiamo ai fatti e bocciamo il comunismo per come si è manifestato). Al contrario del modello liberista e di destra (quello di Bush, quello di Berlusconi, quelli dell’America Latina di qualche decennio fa), noi non siamo disposti a sopportare ulteriormente il crescente divario fra una ristretta elite di ricchi e ricchissimi ed un sempre più vasto agglomerato di gente che pur ammazzandosi di fatica non riesce a mettere insieme il pranzo con la cena, divario che è l’esito delle naturali tendenze del capitalismo sregolato lasciato a se stesso con tutti gli altri fenomeni annessi; classismo, speculazioni di ogni sorta, disprezzo di tutti i valori e bisogni non materialistici, iperconsumismo sprecone, devastazione di risorse naturali, crisi cicliche distruttrici di ricchezza privata (come nel caso della crisi sistemica globale finanziaria), disoccupazione di massa senza speranza per chi è più debole, e tanti altri.
Seppur in misura molto minore, anche dalla socialdemocrazia dobbiamo prendere le distanze; il modello socialdemocratico innanzitutto non incide sul sistema di produzione che era e continua a restare affidato all’egemonia esclusiva del Capitale e del profitto privato e, secondariamente, si limita a riprodurre la dialettica del marito che lavora e della moglie casalinga, dove il marito che lavora è il Capitale privato e la moglie casalinga è la socialdemocrazia; in altri termini la socialdemocrazia chiede che il Capitale gli giri la paga per poi limitarsi a spenderla con un certo tasso di redistribuzione (cosa impossibile nella patria del capitalismo, gli Usa, dove parlare di semplice redistribuzione è come bestemmiare il Padreterno). Il modello socialista non esiste; o è quello socialdemocratico o è quello comunista. In mezzo a questi due non c’è nulla. Ma ecco che nello spazio lasciato libero fra i due si insinua ed avanza il modello azionista. In cosa si distingue da tutti gli altri? Preso detto; è un modello che, a differenza di quello socialdemocratico, agisce su un fattore ormai dimenticato da tutti; il patrimonio. Il modello azionista non abolisce la proprietà privata; la estende, la riequilibra; in altri termini, la democratizza. Tutti proprietari, ma senza più grandi divari tra una fascia della popolazione ed un altra, sia nella versione sudamericana (un 5-10% di famiglie che possiede tutto contro un 90% di poverissimi ed indigenti), sia nella versione resa celebre da Peter Glotz della “società dei due terzi” con due terzi benestanti o ‘garantiti’ ed un terzo quasi a morir di fame. Non è neanche e semplicemente un “capitalismo democratico” in cui tutti fanno i capitalisti, ma una società equilibrata su un livello medio accettabile per il soddisfacimento dei bisogni, dove nessuno sarà povero o disperato, ma in cui a nessuno sarà permesso anche di essere troppo ricco non solo nei redditi, ma anche nei patrimoni. Una equiparazione chirurgica di redditi, ma soprattutto di patrimoni e di opportunità caratterizzerà questo tipo di società, il primo a non essere basato esclusivamente sul PIL e sulla produzione, ma sul “bisogno ricco” dell’essere umano. L’altro pilastro fondatore della società azionista, una società “in azione” (l’azione della rivoluzione democratica permanente sia nel campo dello Stato, che della società e dell’economia) saranno i circuiti economici paralleli; ogni tipo di formazione economico-sociale sarà pluralisticamente sostenuta ed ammessa in pari grado (noi oggi abbiamo un pluralismo dei soggetti economici all’interno di un unico modello economico, non un pluralismo dei modelli economico-sociali); accanto alla logica del profitto privato, ci saranno le imprese nazionalizzate, il privato sociale, l’autogestione operaia, la cooperazione, il Terzo settore (che sia veramente tale e non, come sta pian piano accadendo anche in Italia, con le ong e le onlus che si trasformano anch’esse in imprese capitalistiche), l’Esercito del Lavoro e tutto quanto la fantasia progettuale saprà escogitare accanto a tutta una serie di riforme di “Social Security”, che sono già quelle indicate nel programma dell’Npa ed a cui molto presto si aggiungerà la nostra proposta di perequazione patrimoniale con importantissime conseguenze come la vera nascita del privato sociale. Si tratterà di una proposta veramente rivoluzionaria ma che nulla avrà a che fare con il comunismo (i futuri detrattori di destra e di centro si mettano l’anima in pace; sarà per loro impossibile diffamarci come bolscevichi). Si creeranno nella società azionista tanti circuiti economici paralleli dove gli esclusi dalla società del Capitale potranno competere virtuosamente con quest’ultima nella creazione di merci e servizi e nel soddisfacimento dei bisogni minimi. Il cammino è appena iniziato e man mano indicheremo, tutti insieme, i successivi obiettivi che la “rivoluzione democratica” dell’azionismo cercherà di indicare anche nell’ambito dell’economia, del lavoro e della società.

La società azionista e la riconversione del capitalismo

 

Il ritorno del centrosinistra e dei movimenti in piazza è l’unica bella notizia di quest’autunno 2008 contrassegnato da una paura e da una crisi che non si ricordavano da intere generazioni. Il mondo è sull’orlo del precipizio economico-finanziario e la colpa è delle destre di tutto il mondo che hanno imposto ai popoli un liberismo sfrenato che ha generato solo speculazione e disastri. Questa destra è in declino ed il primo segno di questo declino lo daranno proprio gli Stati Uniti fra poche settimane alle elezioni presidenziali. Quindi la destra italiana ha ben poco da pavoneggiarsi con sondaggi, veri o artefatti, che la danno in stabilità o addirittura in crescita di consensi. Il bluff non reggerà ancora per molto dinanzi ad una crisi che sta svelando gli altarini del liberismo. Non reggerà per molto soprattutto se il centrosinistra saprà trovare quella sintesi culturale e politica che gli manca da diverso tempo.
La crisi epocale del capitalismo è la dimostrazione che le ricette della destra, da qualsiasi punto di vista le si analizzi, sono catastrofiche non solo per l’Italia e per l’Occidente, ma per tutti i Paesi della Terra. Sono ricette comunque datate, non adeguate alla novità di questa tremenda crisi finanziaria ed economica globale. La crisi non è cominciata in realtà con l’esplosione della bolla dei mutui subprime, ma nel giorno in cui Bush tagliò le tasse ai miliardari che neanche l’avevano chiesto e, nel contempo, i servizi a milioni di americani, che diventarono, da lì a poco,  homeless o senza assistenza medica. Tutti si buttarono da quel momento in grandi e piccole avventure speculative per pagarsi non solo la casa, ma l’assistenza sanitaria, la scuola per i figli (i colleges universitari negli Stati Uniti costano un occhio della testa e negli USA il concetto di scuola e di università che abbiamo noi in Europa ed in Italia è semplicemente impensabile). Non avendo tutte queste cose basilari e scontate per un cittadino europeo, molti americani sono stati indotti a rovinarsi, non tanto per raggiungere il fasullo ‘american dream’ dell’arricchimento individuale, ma molto più semplicemente per cercare di avere una casa, una assistenza sanitaria ed una istruzione per i figli. Alla fine il sistema capitalistico americano è letteralmente “impazzito”, diciamo così, e si è spinto ad offrire mutui a tassi variabili anche ai più poveri cioè proprio a coloro che sono stati emarginati da quel tipo di sistema capitalistico. Costoro hanno sottoscritto i mutui ‘subprime’ senza avere un soldo per pagare le rate ed è stato il crack a cui tutti stiamo ansiosamente assistendo. La lezione del 1929 è stata dimenticata. La cosa che serve di più sia alla democrazia moderna che al capitalismo odierno è la redistribuzione della ricchezza cioè proprio lo spauracchio delle destre liberiste occidentali, sia di quella americana che di quella italiana. Non serve continuare ancora nella stolta strada delle destre al governo di ridurre ancora la tassazione, specie ai più ricchi e specialmente in un momento di recessione e di apocalittica ansia sociale come il presente. E’ ormai dimostrato che ridurre le tasse ai ricchi ed anche ai benestanti, non solo è una cosa che il sistema Italia purtroppo non può permettersi a causa dell’altissimo e cronico debito pubblico, ma non produce maggior reddito spendibile da destinare ai consumi e quindi in sviluppo economico. Gli unici che possono rialzare veramente l’indice dei consumi sono proprio e solo i poveri (che sembrano essere arrivati alla stratosferica cifra di 15 milioni di nostri connazionali). Sia detto per onestà intellettuale, ai noi del ‘Nuovo Partito d’Azione’ non sembrano adeguate neppure le soluzioni avanzate da tutto il resto del centrosinistra, dal PD fino a Rifondazione Comunista. In altre parole, riteniamo del tutto inadeguate e socialmente miopi le ricette che portano inevitabilmente al solo incremento salariale o alla sola defiscalizzazione dei salari. Così facendo il centrosinistra, dalle sue espressioni più moderate (Pd) fino a quelle più radicali (PRC), continua a condannare qualche milione di cittadini italiani marginali e non garantiti alla disperazione più nera. Questi cittadini sono il nucleo più povero dei poveri. Se i poveri si calcolano in 15 milioni, la “seconda società”, da tutti dimenticata fuorché dal Nuovo Partito d’Azione (che però è ancora troppo poco visibile per poter assumere la rappresentanza piena  di questo vasto agglomerato sociale), assomma a mio parere a non meno di 3-4 milioni di persone (forse anche qualcosa in più). La ragazza precaria del call-center di Milano, il cinquantenne licenziato per chiusura della fabbrichetta di Anagni, il giovane musicista jazz del quartiere Testaccio di Roma che si aggrappa a tanti saltuari lavoretti in campo musicale e culturale, il piccolo ambulante di Caserta, il sottoproletario dei Quartieri Spagnoli di Napoli o del quartiere Zen di Palermo, il piccolo contadino sardo o il piccolo commerciante di Vibo Valentia fallito a causa del racket dell’usura appartengono a mondi diversi che forse non verranno mai a contatto fra di loro, come invece può capitare per altri soggetti sociali, ma hanno tutti una cosa in comune; sono cittadini soli, disperati, non hanno nessuno alle spalle che si preoccupi di loro, nessuna garanzia, nessuna rappresentanza politica o sindacale, nessuna famiglia potente o “famigghia” alle spalle, nessun organo di informazione che parli di loro. Sono la “seconda società”, la società sommersa e degli invisibili. Ci vogliono quindi ben altri interventi oggi come oggi; ci vuole uno strumento di redistribuzione in termini direttamente monetari che impedisca alle famiglie più emarginate e sole, agli individui che non hanno alcun riparo, di poter vivere con un minimo di tranquillità e di dignità. Occorre agire sulla riduzione dei prezzi più che sull’aumento dei salari, bisogna parlare di tassazione e perequazione dei grandi e medi patrimoni e non solo di aumento dei redditi da lavoro dipendente, senza dimenticare la perequazione delle opportunità che vuol dire debellare familismo e clientelismo. Insomma una riforma complessiva dello Stato, della società e dell’economia ispirata dalla bussola dei bisogni e dei meriti. E poi, passata la fase più drammatica dell’emergenza finanziaria, occorre delineare un tipo di società che sia in sintonia con i bisogni non delle corporazioni,  delle caste, delle classi o delle lobbies, ma dell’uomo. Noi azionisti riteniamo che sia il capitalismo nella sua versione liberista, sia il comunismo, sia la socialdemocrazia (che si limita a tosare la pecora capitalistica senza intervenire sulla progettazione di una società di tipo nuovo e che spesso si è persa nelle secche del burocratismo) non siano più modelli adatti all’umanità di oggi. Oserei dire che stiamo sforzandoci di pensare un nuovo tipo di società che potrebbe essere definita la società azionista. “Azione” qui vuol dire molto di più di quello che a prima vista può sembrare. Sia nell’ambito istituzionale, che nell’ambito della società e dell’economia, l’azionismo è il paradigma di una società che pensa la democrazia come un processo rivoluzionario ininterrotto. Il massimo che posso rimproverare all’azionismo stesso è di aver pensato molto allo Stato e poco al Capitale. Ma la democrazia può avanzare come processo ininterrotto (inteso così l’azionismo risulta l’erede non solo dello storico PdA 1942-1947 e ancor prima del partito risorgimentale mazziniano, ma addirittura di tutte le rivoluzioni della prima Modernità; da quella inglese del 1600 con Oliver Cromwell fino alla rivoluzione giacobina francese del 1789), come azione permanente anche nell’ambito dell’economia e della società dominate dal Capitale (ma non solo dal Capitale). Non c’è nessun bisogno di diventare comunisti o marxisti per fare tutto ciò. Anzi direi che, per mille motivi, ciò che proprio non bisogna fare è diventare comunisti per pensare all’utopia concreta di una società liberata dal dominio del Capitale anche perché la Storia ci ha insegnato che se si elimina il dominio del Capitale privato, come nel comunismo, allora a quel punto o subentra il dominio del capitale statale oppure la dittatura pura e semplice di una casta politica che si impadronisce in modo menzognero della classe lavoratrice ed operaia e del suo nome. Per quanto riguarda l’esperienza dei partiti comunisti occidentali nel secondo dopoguerra, e segnatamente del PCI e poi del PDS fino agli attuali partiti comunisti, l’unica cosa positiva che si può dire della loro esperienza è che essi hanno premuto per la costruzione in Italia di un Welfare State minimo (ma noi azionisti ci rifiutiamo persino di definirlo tale); molto più modestamente il loro compito è stato quello di aver contribuito a costruire una società né solidaristica, né del benessere, ma meramente assistenzialistico-corporativa, che ha lasciato tutti i problemi strutturali italiani al punto in cui stavano, senza aver risolto il problema della povertà estrema. Anche negli Stati che hanno realizzato sul serio il Welfare (e mi riferisco ai paesi socialdemocratici dell’Europa del Nord), mai si è messo in discussione il principio del dominio del Capitale o dell’egemonia dello stesso. Voglio ancora una volta chiarire bene la specificità della nostra posizione azionista rispetto alle ricette delle destre (liberismo selvaggio), dei comunisti (società senza iniziativa e proprietà private) e dei socialdemocratici (tosatura dei capitalisti e redistribuzione burocratica dei redditi senza la proposizione di modelli alternativi e/o complementari). Una società azionista deve essere una società in cui domini il rigore etico e morale nell’ambito dello Stato e della società, ma anche nell’ambito della vita economica. Nonostante ciò, neppure una mera moralizzazione della vita finanziaria (già di per sé preziosa) può più bastare. Ad un certo punto, il capitalismo lasciato ai suoi ‘animal spirits’ ha la tendenza di concentrarsi e tale concentrazione, più che il capitalismo in se stesso, è la vera cosa immorale. Non si tratta neanche più di statalizzare imprese e banche; si tratta di progettare una società equilibrata ed a misura d’uomo e non del Capitale in cui il capitalismo può avere diritto di cittadinanza solo se ritrova o trova per la prima volta la sua funzione sociale. In altre parole, noi non vogliamo, come dicono i comunisti, l’abbattimento del capitalismo o la fuoriuscita da esso (verso che cosa? I comunisti di oggi non sanno ancora rispondere a questa domanda), ma vogliamo la sua riconversione insieme alla sua relativizzazione. No all’assolutismo del Capitale, tanto per intenderci con uno slogan.
E’ chiaro che progettare una società di tipo nuovo, un processo che contempli al suo interno anche una “rivoluzione democratica del Capitale” e non solo dello Stato o della società civile abbisogna di una grande fantasia progettuale e di un disegno organico in cui finanza pubblica statale, controllo dei prezzi, lotta alla speculazione, politica dei redditi, imposta patrimoniale, reddito sociale e redistribuzione dei redditi (ma anche, ne parleremo già dalla prossima Direzione Nazionale del nostro Partito, di perequazione dei patrimoni), privato sociale, Terzo Settore si tengano tutti insieme proprio come nel programma del Nuovo Partito d’Azione, il programma più riformista e nel contempo più rivoluzionario che un Partito nazionale italiano abbia finora partorito. E nonostante ci sentiamo già all’avanguardia culturale e programmatica, non ci fermiamo ancora. Riprendendo un’idea di Pasolini, possiamo anche dire che noi azionisti riteniamo che il fine di una società non debba essere lo sviluppo meramente quantitativo, ma il progresso vero. Il progresso vero è la cifra dell’Occidente (e noi siamo un partito di stampo occidentale, ma anche su questo tornerò a breve in un prossimo scritto), non lo sviluppo del PIL. Ormai Paesi che non hanno ancora assicurato ai loro popoli gli standard minimi di democrazia, ci stanno superando nel PIL e nella forza capitalistica e finanziaria (vedi India e Cina, ma anche Emirati Arabi Uniti che stanno diventando i padroni delle nostre imprese). E se la Modernità occidentale si misurasse solo dai suoi segni esteriori e non dalle sue profonde radici interiori allora dovremmo parimenti constatare che oggi Shangai o Dubai sono città più moderne delle nostre, la Cina e gli Emirati Arabi Uniti nazioni più moderne delle nostre, che la Modernità è emigrata lì insieme a tante nostre imprese occidentali. Ma non è così (o almeno non ancora). Allora per noi il sintomo del progresso potrebbe anche non essere più l’accrescimento della ricchezza individuale o statale o del capitalismo nazionale, ma la felicità individuale. E questo sarebbe un ulteriore colpo rivoluzionario alla egemonia non solo economica, ma anche culturale del Capitale. Altre idee verranno fuori man mano. Ne avanzo ancora due di cui in Italia o almeno nei partiti italiani non c’è traccia. Mi riferisco alle politiche del microcredito che Mohammed Yunus ha sperimentato con tanto successo in uno dei paesi più poveri del pianeta, il Bangla Desh ed alla Banca delle Ore. Io metto realisticamente in conto anche che nessuna idea nuova e rivoluzionaria potrà mai espellere il capitalismo dalle nostre società (che l’hanno inventato. Basti ricordare che le prime banche sorgono nella Firenze del 1300), ma nulla ci vieta di pensare e di proporre istituzioni e modelli alternativi e paralleli che riequilibrino un Capitale che, ormai è assodato, se lasciato senza limiti e senza fattori calmieranti (magari i fattori calmieranti possono essere quelli derivanti da istituzioni di tipo alternativo come ad esempio il terzo settore, il privato sociale, e, perché no?, l’Esercito del lavoro teorizzato dal grande azionista Ernesto Rossi), è condannato a ripetere ciclicamente sempre gli stessi errori ed a risultare un flagello, non solo per i Paesi del Terzo e del Quarto Mondo, ma anche per gli stessi popoli occidentali ed in definitiva un flagello proprio per se stesso.
 

Risposta a M. Messina

Devo confessare ai lettori ed ai compagni che rispondo alle irritate (ed irritanti) provocazioni

di Messina molto controvoglia, quasi ‘obtorto collo’. I motivi di questa mia riluttanza sarebbero tanti, ma preferisco non parlarne. Certo è che uno che risponde ad una intervista infondendo in essa una miriade di temi politici (molti di essi anche inediti), uno che mette insieme 6.957 parole spese in delicati e cruciali argomenti della nostra agenda politica come il giudizio sul nuovo Governo Berlusconi e sulle sue politiche economiche e sociali, su Di Pietro, sulle prospettive strategiche del Partito, sul fallimento del centrosinistra e della linea Veltroni e che poi vede che di tutto ciò nulla provoca la riflessione se non soltanto 303 parole delle suddette 6.957 (solo 1 / 23simo dell’intervista) qualche motivo per essere non dico irritato, ma sconfortato già ce l’ha in partenza. Comunque vengo al merito delle “irritate” divergenze del nostro compagno siciliano o almeno al merito di quei punti che ho ritenuto degni di interesse;

 

 1)      La sua accusa sostiene che io avrei affermato la superiorità morale degli elettori di sinistra rispetto a quelli di destra (e quelli di centro?) ed una “contrapposizione antropologica”. Quando ho letto questa cosa sono rimasto abbastanza perplesso e sono andato a rileggermi l’intervista almeno quattro volte per essere sicuro di aver detto ciò. A prima vista non mi pareva di aver mai affermato cose simili; ritengo di avere un certo rigore scientifico e teorico, prima ancora che politico e morale, per cui espressioni così ingenue esulano dal mio vocabolario. E così era. Quelle espressioni infatti io non le ho mai pronunciate nel corso dell’intervista. O meglio; io parlavo sì di un dato antropologico, ma nel senso di una mutazione antropologica delle giovani generazioni, plagiate e bombardate da una ideologia subliminale del tutto funzionale al berlusconismo (veicolata dalle tv). Non c’entra niente il moralismo; è l’assunzione di un dato di fatto, di un dato antropologico. Ma questo dato antropologico, che del resto non ha nemmeno più nulla di originale tanto ormai è entrato nel senso comune di tutta la sinistra e finanche dello stesso PD centrista (per quanto la banalità del dato non revoca affatto il suo contenuto di verità), non autorizza nessuno ad attribuirmi contrapposizioni antropologiche che il compagno siciliano ha evidentemente partorito solo nella sua fantasia. Questo non è un alibi per sottrarmi al discorso sulla superiorità. Io credo che questi discorsi di psicologia politica siano molto astratti ed evanescenti, molto personali; ognuno dentro di sé è libero o no di credersi superiore a chi gli pare basta che non faccia del male a nessuno né con azioni né con parole. Io poi non parlerei neppure a nome di tutta la sinistra; voglio parlare solo come un azionista enormemente fiero ed orgoglioso della sua identità politico-culturale. C’è qualcosa di male ad essere molto orgoglioso della propria identità politico-culturale? Ricordo un articolo di Giorgio Bocca sul paginone culturale di “Repubblica” uscito qualche mese fa. Parlava dell’epopea dello storico PdA e così titolava il suo articolo: “Noi, i migliori”. Io e tanti compagni della nostra comunità neoazionista investiamo ogni giorno il meglio di noi stessi nella speranza di essere degni di continuare coloro che avevano raggiunto la coscienza di essere i migliori. Qui parlo ovviamente di un dato collettivo, di un dato di antropologia politica; nulla a che fare con differenze antropologiche su basi biologiche o etniche. C’è qualcosa di male in questo? Dà fastidio a qualcuno? Scrive Messina: “Se gli atti non fossero distinguibili dai loro attori allora la dissociazione di questi da quelli non sarebbe possibile e quindi nessun atto politico avrebbe senso se non la guerra e lo sterminio del nemico”. Sterminio addirittura? Ma stia tranquillo e dorma sereno; noi non vogliamo sterminare proprio nessuno. Ma di cosa parla Messina? E’ vero; siamo giacobini, lo confessiamo. Ma miti, molto miti in fondo ed i nostri padri erano dei miti che avevano costruito dei “miti”, dei veri “miti” (cfr. “Il mite giacobino”, biografia di Alessandro Galante Garrone). C’è un giudizio di valore, un senso di superiorità morale nel mio discorso? Ma non lo so, caro Messina, fai un po’ tu, come piace a te. Spesso la notte non dormo per le preoccupazioni, ma non sono certo i motivi che sollevi tu quelli che mi tolgono il sonno.

2)   Per quanto riguarda poi il mio discorso sui giovani lì tu ed il tuo amico, come minimo, avete preso lucciole per lanterne. Tu e il tuo amico blogger affermate:

 

Riguardo le rivolte ed il ’68 ed il ’77 ne ho piene le tasche. Se voglio fare politica neoazionista è proprio per evitare gli errori di quelli più grandi di noi che gridavano nelle strade e scrivevano sui muri slogan stupidi e violenti e non avevano spirito critico se non verso ciò che era di moda criticare all’epoca.

 

Vai al sindacato e ti senti dire che non possono tesserarti perché sei disoccupato.

 

Ma quale rivolta, vallo a dire ai lavoratori di ribellarsi: loro il posto ce l’hanno e lo difendono con le unghie e coi denti.

 

Da quello che scrivi sono portato a credere che tu non conosca le basi teoriche dell’NPA.

Sorvolo sulla tua frase sul ’68 e sul ’77 che mi pare di aver già letto mille volte sui siti vicini a Forza Italia. Non che voglia difendere in blocco il ’68 (me ne guarderei bene) , ma non si possono liquidare con tanta faciloneria i due momenti paradigmatici dell’impegno politico giovanile la cui mancanza, da me oggi rimpianta e stigmatizzata, si sta facendo troppo sentire. Tra l’altro, ’68 e ’77 sono due fenomeni apparentemente simili ma in realtà anche molto dissonanti. Tu dovresti sapere che una delle innovazioni teoriche apportate dall’NPA all’azionismo è quella di una rilettura particolare del ’77 e che da questa rilettura abbiamo ricavato ciò che mancò al vecchio PdA e cioè una base sociale di riferimento; per noi è la ‘seconda società’ nella quale rientrate anche voi due. Il discorso sarebbe lunghissimo e va ben oltre gli slogan “stupidi e violenti” con cui tu esaurisci la questione. Se 31 anni fa esplose la piazza fu perché la crisi italiana in quel punto produsse un cortocircuito; il fatto è che quei fili sono ancora scoperti. Quel che sta facendo l’NPA è di prendere quei fili scoperti e di fargli fare un altro percorso (diciamo più sociologico e meno ideologico). Siamo però ben coscienti anche del fatto che se i giovani non si scuotono dal torpore poi anche coloro che vogliono difenderne la causa possono fare ben poco. Anche qui il moralismo non c’entra nulla; è un dato di fatto politico. Questo volevo dire e non mi sembra che ci sia nulla per cui irritarsi, anzi…Le due affermazioni del tuo amico, guarda caso,  rientrano perfettamente, a meno di non voler cercare lo scontro polemico a tutti i costi, nella nostra interpretazione del ’77 e nella nostra strategia sociale basata sulla ‘seconda società’. Quando sarete meno “irritati” magari ne riparleremo.

 

3)      Tu affermi: “Di connivenze con la malavita organizzata ce ne sono anche a sinistra e se volete faccio nomi, e ciò vale anche per la semplice corruzione, ovviamente”.

Non c’è bisogno di sollevare questo argomento, per perorare la causa dell’annullamento, vero o presunto, delle differenze tra destra e sinistra.

Non ti scomodare per la ricerca sui nomi; li conosciamo già.

 

4)     Magistratura. Messina dixit: “L’epurazione radicale per me va bene, ma nei confronti di tutti quelli che hanno avuto responsabilità in questo regime, non nei confronti di chi è colpito dalla magistratura. Chiunque promuova campagne ‘contro i metodi ritenuti illiberali usati dalla magistratura’ valutiamole nel merito: se sono o no fondate, se sono o no veri i fatti ai quali si riferiscono. E, riferendoci a fatti, quando un magistrato paga per gli errori e le indecenze commesse?”

Anche se hai l’irritazione facile, caro Messina, adesso mi devi consentire di dirti che questa tua affermazione è uno dei tanti esempi che potrei portare per mettere in evidenza i tuoi disinvolti salti logici. Si dà il caso che di tanto in tanto la magistratura colpisca, quando onora il suo nome e la sua alta missione, proprio coloro i quali hanno avuto responsabilità in questo regime (quale regime poi in concretezza? Boh, fa niente, va bene anche così; quando si tratta di regimi noi azionisti siamo sempre per combatterli). Accidenti che disdetta. E che deve fare allora in questi casi questa bistrattata magistratura? Mi sembra ci sia un po’ di confusione (anche) in questa tua posizione.

Sappi che quando noi azionisti parliamo dei magistrati e di difendere i magistrati non è a quelli che si vendono le sentenze, né a quelli che entrano in cupole mafio/massoniche, né a quelli che condannano solo i ladri di polli che pensiamo. Quelli ci sono sempre stati, ci sono e ci saranno sempre, purtroppo. Noi pensiamo ad un certo tipo di magistrati, a quelli che scoperchiano il putridume di un pluridecennale potere criminale italiano, intoccabile e con pretese di impunità. Noi pensiamo a quei magistrati che hanno garantito le nostre libertà democratiche perseguendo Tangentopoli, la P2, la mafia, lo stragismo eversivo e quant’altro. Pensiamo, ed i nomi a te che sei siciliano dovrebbero dire qualcosa, ai Livatino, ai Borsellino, ai Falcone, ma anche ai non siciliani De Magistris, Woodcock, G. Colombo, G. D’Ambrosio ed a non molti altri. Alcuni hanno pagato con la vita il loro coraggio democratico e civile. I nostri compagni della Calabria, Piero Ferrari ne sa qualcosa, si sono battuti per mesi con coraggio, e nell’isolamento quasi totale, per sostenere De Magistris insieme ai ragazzi di Locri ed a pochissimi altri. Potrei riferire anche di un fatto che nessuno conosce riguardo quella lotta, ma lo farò solo se Piero mi autorizza a divulgarlo. Il sottoscritto si recò personalmente al Palazzo di Giustizia di Potenza per portare la solidarietà del Partito a Henry John Woodcock. Per la prima volta qualcuno contesta finanche Di Pietro ed il suo Idv (questo era uno dei punti innovativi contenuti nell’intervista) da posizioni ultrademocratiche e legalitarie, e non, come sempre avviene, dal punto di vista del garantismo peloso. Questo partito la democrazia e la legalità, un punto di vista radicalmente democratico e radicalmente legalitario, ce l’ha nel sangue,  nel dna e quindi non posso che rimanere allibito nello scoprire che c’è qualcuno che

ripropone, finanche in mezzo a noi, gli argomenti dei ben noti impallinatori dei magistrati.

 

5) Liberismo. Anche qui parli di cose astratte interpretate in modo a dir poco molto parziale. Dove lo vedi un liberismo che assicura “la massima parità di condizioni iniziali agli individui”? Se mi dici in che mondo sta cerco di andarci anche io e di corsa. Ernesto Rossi più liberista di qualsiasi anarcocapitalista poi è veramente incredibile. Ma allora il Rossi di “Abolire la miseria” cos’è? Comunque se a te fa piacere così non voglio deluderti e neanche cerco più di convincerti del contrario. 

 

“La libera concorrenza non porta necessariamente a un massimo di benessere economico”,  diceva Rossi.

 

Nei problemi concreti, come sono quelli economici,  non è facile agire con l’ideologia ed anche il liberismo è una ideologia. Einaudi stesso diceva qualcosa di simile.  Rispetto a trenta o cinquant’anni fa oggi emergono problemi nuovi ed inquietanti e chi fa politica non può agire con la logica del piccolo accademico, ma deve tentare di risolverli, di proporre un nuovo modello di società che possa neutralizzare quei problemi.

Per affrontarli bisogna avere degli ideali regolativi più di tipo morale che di tipo ideologico. A me non interessa se una cosa è più statalista o più liberista. Mi interessa la sua resa su un certo modello di società che ho in testa. Noi azionisti del 2000 dobbiamo coltivare piuttosto un ideale neoumanistico di società. La teoria neoazionista della ‘seconda società’ è un altro di  questi  ideali regolativi.  Così come lo è la nostra teoria dei “bisogni e dei meriti”.

 Essa si diparte dal clima tempestoso ma anche estremamente creativo del ’77 come ‘teoria dei bisogni radicali’ nell’ambito del marxismo eretico, viene filtrata in senso riformista dal sottoscritto a cavallo tra la fine degli anni ’70 ed i primi anni ’80 (cfr. “Riformismo e bisogni”, prima edizione Milano 1982, seconda e definitiva edizione, Pellicani Editore, Roma, 1990) ed incrocia il versante liberale dei meriti diventando, verso la metà degli anni ’80, lo slogan dei “meriti e dei bisogni” con Claudio Martelli, la cosa migliore partorita nei lunghi anni del potente PSI craxiano. Durante la fase del PSI craxiano quella teoria però fu solo enunciata (mettendo al primo posto i meriti e al secondo posto i bisogni), ma mai veramente teorizzata né praticata. Rimase per i socialisti sempre un orpello decorativo; per noi azionisti è invece molto, ma molto di più. I nuovi problemi sono rappresentati da un turbocapitalismo finanziario globalizzato che sta distruggendo una immensa ricchezza finanziaria (e non solo finanziaria ovviamente; posti di lavoro, pensioni, agricoltura, aspettative di vita, bisogni post-materialistici ecc. ecc.) e che sta imponendo un liberismo senza regole destinato a schiavizzare masse sempre più grandi di cittadini. E’ una problematica immane che tocca anche la questione dei mutui subprime, la speculazione mondiale sui prezzi (che in Italia diventa doppia speculazione), gli squilibri nei rapporti valutari, la precarietà lavorativa endemica e tanti altri fenomeni inquietanti. La ricetta liberista di Bush è stata un fallimento e lo è stata ancor di più per gli Usa, che cercano oggi di scaricare la crisi del loro modello liberista applicato alla finanza su tutto il resto del pianeta. Davanti a questi fenomeni noi azionisti non ci fissiamo sui nominalismi astratti. Io personalmente credo che il modello liberista americano degli ultimi anni si sia rivelato perverso, ma non credo che opporvisi sia necessariamente sinonimo di anticapitalismo. E’ un momento in cui bisogna essere aperti intellettualmente ad idee nuove. Tali idee possono venire dall’America ‘critica’ e penso per esempio a Jeremy Rifkin, ma anche ad altre correnti di pensiero non necessariamente liberiste e liberali. Nella mia veste di direttore della rivista “Il Giornale della Filosofia” sto per pubblicare ad esempio un numero tutto dedicato ad una scuola del marxismo eretico come quella di La Grassa ed Illuminati. Come partito inoltre non escludo che nel giro di qualche settimana lanceremo qualche nuova proposta programmatica in campo economico-sociale.  

 

6) Le cose che scrivi trasudano di astratto  buonismo (si potrebbe definire un buonismo ‘senza se e senza ma’), da tanto

 ecumenismo nonviolento, da tanto garantismo, come diceva Totò, ‘a prescindere’. Vedo sul tuo blog il link ad una delle associazioni di area radicale che si chiama “Nessuno tocchi Caino”. Una domanda mi viene spontanea. Oltre a salvare sempre Caino, quando daremo un po’ di giustizia e solidarietà anche ad Abele?

 

 

7) Conclusione. Tu hai tutto il diritto ovviamente di pensare le cose che vuoi (e ci mancherebbe altro che non fosse così) ed hai naturalmente anche tutto il diritto  di chiamare topogigio o azionismo ciò che tu pensi. Quello che mi sembra invece del tutto improbabile è il fatto che queste ed altre idee che tu esprimi siano il corpus teorico di questo Partito, che non è un Partito che deve ancora nascere, ma un Partito che ha già codificato tale corpus teoretico in documenti di Segreteria Nazionale, di Direzione Nazionale, in deliberazioni di organi di Partito, in norme statutarie e quant’altro.

Intervista al Segretario Nazionale N.P.A.


LE INTERVISTE DEL FORUM UFFICIALE N.P.A.
AL NOSTRO SEGRETARIO NAZIONALE,
PINO A. QUARTANA

Intervista del giorno 12 agosto 2008 a cura del Forum

www.nuovopartitodazione.forumup.it

Caro Segretario, a quattro mesi dalle elezioni crediamo sia necessario fare una analisi dell’operato del IV governo Berlusconi.

Il IV governo Berlusconi, al di là di alcune dichiarazioni depistanti di Tremonti, che ha civettato un po’ per accreditarsi come una sorta di no-global di centrodestra, continua a fare ciò che facevano già i governi Berlusconi I, II e III vale a dire portare avanti con determinazione e cinismo l’unica vera lotta di classe che esiste ormai in Italia da diversi anni; la lotta dei ricchi contro i poveri. Mentre il centrosinistra non ha voluto combattere la lotta alla povertà, il centrodestra preferisce centrare l’obiettivo della lotta ai poveri. Due sono le bussole che hanno sempre guidato l’opera di governo del centrodestra; salvare gli affari e gli interessi di Berlusconi, e non poteva mancare questa nuova vergogna del lodo Alfano che trasforma la figura del Premier in una specie di monarca “repubblicano” e democratico legibus solutus, ed attuare politiche vendicative contro quei settori o ceti sociali ritenuti naturaliter di centrosinistra, magari facendo coincidere il disprezzo destrorso verso il povero con l’unico obiettivo di politica economico-sociale veramente sentito dal centrodestra come vitale per i propri interessi e per la propria identità; diminuire le tasse per i ricchi e per i benestanti. Qualcuno obietterà che Berlusconi parla di riduzione generalizzata di tasse. Questo Ë un altro dei suoi collaudati inganni. Quando Berlusconi non può smaccatamente perorare un taglio delle tasse per i ricchi allora ne taglia un pochino anche a tutte le altre categorie, come fece nella legislatura 2001-2006 con gli effetti per le casse dello Stato che abbiamo visto tutti in passato. Al di fuori di queste due o tre direttrici di marcia, ciò che accade in Italia non interessa proprio un bel nulla a Silvio Berlusconi, che, a mio parere, non ha mai assunto, nonostante le sue altissime responsabilità nel corso dell’ultimo quindicennio, l’abito mentale dello statista. Rimane quel che era; il ricco ‘cummenda’ milanese un po’, o abbastanza, ‘bauscia’ che esibisce la sua ricchezza personale e la fa pesare rispetto a tutti gli altri godendone. Per capire chi Ë veramente Berlusconi più che analizzare i suoi discorsi da politico o da governante, che francamente lasciano il tempo che trovano, bisogna capire lo spirito genuino delle sue battute, delle sue innumerevoli gaffes. Solo allora esce fuori il suo vero ritratto interiore, quello di un reazionario classista finanche rancoroso verso i più deboli, verso i poveri.
Però ha l’aria del simpatico lazzarone, del sedicente ‘tombeur de femmes’ e questo in un Paese come il nostro piace anche a quei poveri, che sono poi le vittime predestinate delle sue politiche sociali. Nel centrosinistra ci si è dimenticati troppo presto, forse per paura di passare per pauperisti demodè, ciò che egli disse nella campagna elettorale del 2006 allorquando si fece scappare che i figli degli operai non potevano avere l’ambizione di essere messi sullo stesso piano dei figli dei professionisti, oppure nel marzo scorso quando in risposta ad una ragazza precaria che gli chiedeva cosa poteva fare per mettere su famiglia senza la sicurezza di un reddito Berlusconi gli rispose che avrebbe fatto bene a sposare il figlio Piersilvio. Uno cosÏ, nel profondo, non può che disprezzare i poveri, gli operai e tutti coloro che non si piegano ai suoi modelli. Gli ispiratori di Berlusconi sono sostanzialmente tre; l’Argentina di Peron, gli Stati Uniti del suo amico Bush e l’Inghilterra della Thatcher. Il primo gli serve per atteggiarsi a demagogo populista e per infinocchiare orde di casalinghe, di pensionati e di giovani sottoproletari già abbondantemente preparate e ‘lavorate’ mentalmente dai modelli conculcati per anni ed anni dalle sue televisioni commerciali. Gli altri due per fare i fatti cioè per riportare l’Italia a decenni e decenni fa, quando lo sfruttamento era legalizzato, quando i padroni del vapore, per dirla con le parole dell’azionista Ernesto Rossi, facevano il bello ed il cattivo tempo ed appunto quando i figli degli operai e della povera gente dovevano rimanere al loro posto rispetto ai figli dei ‘signori’. I primi provvedimenti di questo Berlusconi IV riflettono la storia e la mentalità profonda del personaggio e non fanno altro che ripetere le cose fatte dagli altri tre governi Berlusconi precedenti. C’è, come al solito, tutto il repertorio classista e reazionario della macelleria sociale delle destre; ecco l’incostituzionale discriminazione contro i giovani precari, ecco il tentativo abortito solo a causa di un inaspettato coro di proteste di cancellare con un tratto di penna le pensioni sociali, ecco il taglio dell’Ici a cui hanno abboccato in campagna elettorale anche tanti pesciolini delle fasce disagiate del Paese. Il taglio Ici segue il copione del taglio Irpef di qualche anno fa; il provvedimento è stato preso solo per poter coprire il favore fatto ai ricchi ed ai benestanti. Questo taglio sciagurato dell’Ici fa venire meno ai Comuni la fonte principale di sostentamento ed in effetti per una famiglia non benestante si tratta di una ben povero risparmio. Le mani in tasca ai ricchi effettivamente non le hanno messe, ma a tutti gli altri le metteranno eccome quando i comuni saranno costretti a tagliare i servizi sociali essenziali oppure a richiedere per gli stessi servizi oneri ben più pesanti. I provvedimenti adottati per togliere il respiro alla povera gente ed ai settori ritenuti simpatizzanti del centrosinistra sono stati individuati scientificamente in occasione della Finanziaria. Il massacro sociale continua e continuerà anche con la sanità pubblica. Mentre vengono sfacciatamente privilegiati gli operatori privati della sanità, vogliono costringerci tutti pian piano ad abbandonare la sanità pubblica ed a sottoscrivere le costosissime polizze assicurative private. Si tagliano tutti i settori determinanti per la crescita sociale; la ricerca, l’università, la scuola, la cultura, la libera informazione e non siamo che all’inizio della macelleria sociale. Per completare lo sfregio a danno di chi soffre socialmente, nel momento in cui tanti italiani patiscono sempre di più le umilianti privazioni di una crescente indigenza e nel momento in cui il governo delle tre destre rende loro la sopravvivenza ancor più sfibrante, televisioni e massmedia non fanno altro che sbattere in faccia ai poveri i modelli di vita dei ricchi privilegiati cioè di coloro che votano e sostengono questa maggioranza. Interi programmi della nostra tv-spazzatura ci mostrano un numero impressionante di ragazze che vogliono fare le veline o le miss, fosse anche il concorso di Miss di Roccacannuccia, legioni di ragazzi che sembrano non aver null’altro in mente che andare a dimenarsi nelle discoteche mentre gli idoli di questi ragazzi e di queste ragazze, i calciatori e le veline, veri prototipi dell’homo berlusconiensis, spendono in pochi giorni sulle spiagge di Formentera o di Ibiza soldi che i loro coetanei non vedranno mai neanche in una vita. Questo è il ritratto di un Paese cafone ed ignorante quale è l’Italia odierna e Berlusconi ne è il demiurgo. Questo aspetto antropologico è ben più grave delle piccole o grandi manovre di macelleria sociale in atto. Qui si celebra un ossimoro, una nemesi che ha del paradossale; Berlusconi ha trasformato le menti di una grossa fetta della gioventù italiana di oggi a sua immagine e somiglianza, ma è proprio questa parte della popolazione quella chiamata a recitare la parte dell’agnello sacrificale da parte delle politiche economiche e sociali dei suoi governi. Ci si chiede come mai è possibile questa egemonia totale del berlusconismo; è possibile proprio perchè una intera gioventù è diventata apatica, plagiata dalla stupidità immensa dei suddetti modelli. E’ proprio questa gioventù plagiata, derubata di un minimo senso critico e senza futuro che dovrebbe ribellarsi. Non possono ribellarsi e lottare sempre gli stessi; quelli che hanno fatto il ’68 o quelli che hanno rivoltato le piazze nel ’77 e che oggi hanno come minimo cinquant’anni, moglie, figli ed anche qualche acciacco. Solo dopo questa presa di coscienza possiamo tornare a parlare di politica in senso stretto.

Sembra che dopo la manifestazione di Piazza Navona la presunta opposizione di centrosinistra si sia spaccata. Veltroni intende fare l’opposizione minacciando l’interruzione del dialogo (crediamo che pochi abbiano finora capito cosa egli intenda per dialogo), dando il via ad una raccolta firme contro il governo ed organizzando una manifestazione ad ottobre. Non sono iniziative un po’ troppo ridicole?

La domanda presuppone che oggi in Italia ci sia un’opposizione. Se c’è, io non la vedo.
Non vedo nè opposizione parlamentare, nè opposizione extraparlamentare. Staremo a vedere se a ottobre si muoverà finalmente qualcosa. Il PD è ormai un corpaccione molle ed inerte per reciproca paralisi delle sue due componenti maggiori e dal cui cervello non partono più stimoli elettrici. Lo vediamo ogni giorno su ogni questione. Ultimamente mi ha colpito molto la fuga del Pd dall’esprimere un punto di vista chiaro circa il caso di quella povera ragazza che da anni viene tenuta artificialmente in vita con una macchina. Non si riesce a capire perchè sia stato voluto un partito cosÏ. La sua nascita ha destabilizzato l’Unione e tutta la sinistra dal momento che è venuto a mancare quel centro gravitazionale della sinistra che erano i Ds. Come se ciò non bastasse, il Pd, che aveva l’80% dei ministri e dei sottosegretari nel governo Prodi, ha incolpato la sinistra radicale dei propri fallimenti ed infine la segreteria Veltroni ha fatto di tutto per terremotare quel poco di unità del centrosinistra che ancora resisteva al fallimento di Prodi. Il risultato lo abbiamo sotto gli occhi. La meraviglia di Veltroni su quello che sta facendo Berlusconi è veramente grottesca. Non lo sapeva chi era Berlusconi? A noi azionisti non piace questo sistema elettorale; vorremmo il ripristino di un vero proprorzionale puro e non truccato. Se non il proporzionale puro, ci andrebbe bene anche il proporzionale alla tedesca, che creerebbe sei o sette aree politiche sufficientemente omogenee, cosa che si dovrebbe tentare di fare per mezzo di Federazioni ed alleanze anche con questo sistema. Ma se permane questo sistema sostanzialmente bipolaristico, bisogna comportarsi secondo la logica, certamente sbagliata, di questo sistema. Quindi ciò che ha fatto Veltroni alle elezioni politiche e ciò che ancora continua a fare il Pd, che ora tenta ancora, sempre d’accordo con Berlusconi, di impedire alle già martoriate forze della sinistra di eleggere i propri deputati europei, è del tutto irrazionale. L’abbiamo detto tante volte; con questo Pd Berlusconi può governare fin quando avrà vita. Se è questo che vogliono i piddini lo dicano chiaramente; se invece è questo che temono si affrettino a cambiare segretario perchè Veltroni è un cavallo ormai del tutto bruciato. Il fatto è che noi, e non solo noi azionisti, non siamo affatto sicuri che i piddini fra cinque anni vogliano tornare al governo sconfiggendo Berlusconi. L’involuzione progressiva del ceto di provenienza ds è veramente preoccupante. Ciò che di sano c’era ancora nei Ds è stato progressivamente svuotato nel corso degli ultimi quindici anni dall’elemento democristiano, che ha così completato il suo lungo cammino di annichilimento di tutti i suoi alleati laici e di sinistra, un lungo processo che comincia nel primo dopoguerra con Psdi e Pri, continua negli anni ’60 fino a Tangentopoli con i socialisti e si conclude oggi con la nascita del Pd e quindi con la totale sparizione della residua diversità comunista o postcomunista. Molti osservatori dipingono un quadro non realistico dei rapporti di forza all’interno del PD. Pensano che sono i comunisti o i postcomunisti a dominare sugli ex dc. Non è vero o è vero solo in apparenza; sono i democristiani ex Margherita-ex Ppi-ex Dc ora Pd che dettano il compito agli altri. La cultura democristiana è stata per gli alleati laici e per la sinistra ciò che la kriptonite è per Superman; la vicinanza toglie forza, provoca spossatezza, paralisi, calo della passione politica, incapacità di desiderare una società nuova, assimilazione al doroteismo. Sono quattro mesi che il centrosinistra assomiglia ad un campo di rovine e al momento attuale non si vede ancora la fine del tunnel. Che opposizione si può fare in queste condizioni? Che raccolta di firme vuol fare il Pd? Forse in queste condizioni farebbe meglio a fare una raccolta di punti-premio nei supermercati, di quelle che servono a portarsi a casa un set di bicchieri e di piatti. Sempre sperando che piatti e bicchieri non se li lancino le une contro le altre le innumerevoli fazioni in cui il Pd si sta dividendo al proprio interno. Se non si ricostruisce un’unità del centrosinistra, e certamente su basi programmatiche nuove, in modo da aspirare ragionevolmente a vincere le elezioni del 2013 e di rinnovare effettivamente il Paese, compito in cui Prodi ha fallito totalmente, la gente continuerà a dar fiducia a Berlusconi ed al centrodestra.

Di Pietro, come al solito, si è calato nei panni del giustiziere della domenica coadiuvato da “comici e cantanti” che, come in un circo di serie b, hanno dato un penoso spettacolo non riuscendo a produrre altro che invettive ed insulti di bassa lega e ottenendo solo l’infelice risultato di tirarsi una zappata sui piedi…

Lo spettacolo di Piazza Navona contro la “Casta” è stato effettivamente penoso. Ho trovato le offese contro Mara Carfagna volgarissime e semplicemente indegne di una forza politica, anche se di opposizione. Speculare pesantemente su immaginarie prestazioni sessuali di una avversaria politica non potrebbe mai essere nello stile di un azionista. L’opposizione di un azionista può essere durissima, ben più dura di quello dipietrina. Più di sessant’anni fa è arrivata anche alla resistenza armata, alla lotta di Liberazione Nazionale, altro che i lazzi satirici della Piazza Navona dipietrista ed i Vaffa-Day grillini, ma l’azionista non dimentica mai di essere una persona di un certo livello, un ‘galantuomo’ nel senso più bello e meno retorico di questa parola. Chi ha surriscaldato politicamente quella piazza dalla quale sono partite quelle scurrilità plebee (tra l’altro, senza lo straccio di una prova), quel linciaggio umiliante ai danni di una donna che prima di essere un’avversaria politica è una giovane signora che non credo abbia mai fatto del male a chicchessia, dovrebbe vergognarsi! Essere antiberlusconiano non vuol dire scendere a quelle bassezze. Lo dice uno che, come tutti i suoi compagni di partito, in fatto di antiberlusconismo non deve prendere certamente lezioni dal dott. Di Pietro. E’ vero che quel lessico postribolare non è uscito dalla bocca del Di Pietro, ma quest’ultimo ha consentito che la piazza si trasformasse nel baraccone da avanspettacolo guittesco che poi è diventato specialmente alla fine con altre offese, del tutto inopportune, al Papa ed al Presidente della Repubblica. Ancor più penoso è stato il tentativo di Di Pietro di scaricare la Guzzanti. In quanto a Grillo, le cose scritte da alcuni dei nostri compagni su questo Forum si sono rivelate di una esattezza matematica tanto è vero che il giornalista Curzio Maltese in un articolo del 10 luglio su “La Repubblica” intitolato “Show Business sul palco” le ricalcava puntualmente. Oltre a Maltese, hanno preso decisamente le distanze dal duo Di Pietro-Grillo anche Nanni Moretti, Giulietto Chiesa, Elio Veltri ed altri ancora. Di Pietro e Grillo sono riusciti quindi a spaccare del tutto ed in modo irreparabile anche quella che avrebbe potuto essere la loro area, l’area nuova del centrosinistra, quella che più volte abbiamo ribattezzato come l’area ultrademocratica, area che, in realtà, è nata morta o, meglio, non è mai nata. Che non sarebbe mai nata noi azionisti lo abbiamo capito prima di tutti gli altri, già ai tempi in cui si tentava di varare la Lista Civica Nazionale senza di noi, una aggregazione dalla quale siamo usciti immediatamente e che per noi nasceva già morta, come in effetti è puntualmente accaduto. Ma torniamo alla furba demagogia dipietrino-grillesca sulla Casta.
La Casta va distinta dal Regime e dal Sistema. Su questi tre termini l’IDV ed il suo capo fanno molta confusione, come del resto il loro amico Grillo. La Casta è una categoria della sociologia della politica, che, al contrario di quello che pensano i signori succitati, non è per niente un fatto nuovo. Il fenomeno è stato già abbondantemente studiato, tanti anni fa, da sociologi della politica del calibro di Weber, Pareto, Mosca, Michels; i Nostri non hanno fatto altro che riscoprire l’acqua calda e strumentalizzarla ai fini delle proprie botteghe sulla scia del fortunato libro di Stella. Il pensiero dei Di Pietro e dei Grillo è un pensiero davvero qualunquista e sempliciotto. Lo si vede anche da come parlano di Casta e di Regime, come se fossero la stessa cosa. Confondono la Casta con il Regime, che invece è una categoria della filosofia della politica. Menando il can per l’aia, non so fino a che punto in modo naif o in modo consapevole dato il loro veramente non eccelso livello culturale, i due (e soprattutto il primo cioè Antonio Di Pietro) non si accorgono che l’Italia dei Valori è un partito della Casta, nè più, nè meno che tutti gli altri finora approdati in Parlamento. Perchè l’IDV dovrebbe essere diverso dagli altri? Hanno mai rinunciato al 70% dei propri stipendi parlamentari donandolo ad opere di carità e di solidarietà sociale, così come farebbe un parlamentare del ‘Nuovo Partito d’Azione’ se fosse presente in Parlamento? Hanno mai denunciato lo scempio del finanziamento pubblico ai partiti, doppio scempio se pensiamo che era stato già abolito da un referendum? E se l’avessero denunciato, hanno mai rinunciato al lauto finanziamento? Hanno mai rinunciato a farsi chiamare onorevoli e senatori imponendo l’uso del solo termine di ‘Signor deputato al Parlamento Nazionale’, come si fa nei paesi seri e veramente democratici dell’Occidente? A tutte e quattro le domande la risposta è no. Allora in cosa sono diversi dagli altri per quanto riguarda l’appartenenza alla Casta? Appartenere alla Casta questo significa in pratica; significa godere degli scandalosi privilegi del ceto politico professionale, pagati con i sacrifici dei cittadini italiani che lavorano e pagano le tasse e, addirittura, anche con altri sacrifici da parte dei cittadini che non lavorano. Significa fregiarsi dei segni, sempre più odiosi, di quello status da privilegiati. Se la Casta è immorale, non vedo in cosa Di Pietro e l’IDV si differenzino in meglio dagli altri partiti che hanno bazzicato il Parlamento. Questo per quanto riguarda la Casta. Veniamo quindi al Regime. Di Pietro e compagnia bella accusano Berlusconi di voler creare un regime autoritario. Fin qui possiamo e dobbiamo necessariamente condividere la sua accusa, anche se un regime vero e proprio, come già ho avuto modo di dire in altre occasioni, non mi pare ancora di averlo visto. Quello che non mi spiego è che il Di Pietro politico non segua su questo punto la scia del Di Pietro magistrato. In altre parole, mi sembra che quanto meno si debba parlare di due regimi; quello berlusconiano, se vogliamo sposare in pieno l’accusa di Di Pietro, e quello democristiano della Prima Repubblica. E’ davvero molto strano che l’uomo che come magistrato dette la spallata più forte, o quanto meno più teatrale, a quel regime, poi da politico si dimentichi che in Italia c’era un regime anche prima di quello di Berlusconi; se permette, dico che si trattò di un regime molto più nefasto ancora di quello berlusconiano. Di Pietro si scaglia ogni giorno contro le leggi ‘ad personam’ imposte dal centrodestra per Berlusconi e fin qui tutto bene, ma poi dimentica o non si accorge nemmeno (sempre che sia in buona fede) che la salvaguardia della democrazia tocca molti altri aspetti, non meno delicati; le infiltrazioni negli organi di sicurezza dello Stato da parte di elementi con ideologia fascista (vedasi il caso Genova 2001 e della Commissione sui fatti del G8 che è stata affossata proprio dagli uomini di Di Pietro), l’occupazione di tutti i gangli dello Stato da parte di un solo partito (una situazione da prima Repubblica), l’occupazione della macchina statale con annesse degenerazioni clientelari (anche su questo aspetto di enorme importanza la DC ha fatto danni incomparabili con quelli finora fatti dai governi Berlusconi), tutta la lunghissima sequela di misteri, di morti ammazzati, di stragi che hanno insanguinato l’Italia dal 1947 (strage di Portella della Ginestra) al 1993. Per non parlare della lotta alla mafia o alle mafie ed alle agenzie occulte. Insomma la corruzione classica e le leggi pro-Caimano sono solo un 20% dell’impegno per la moralità, la giustizia e la democrazia. E dov’è l’altro 80%? Dei temi sociali ed economici non se ne parla nemmeno da quelle parti. Strano che contro la DC Antonio Di Pietro abbia sempre avuto ben poco da dire, così come contro gli inquietanti fenomeni accaduti sotto il regime dc. Qualche giorno fa è caduto l’ennesimo anniversario della strage di Bologna e non ricordo di aver sentito o letto una forte presa di posizione di condanna contro quella fenomenologia deviata e stragista. Forse non sono stato attento ma sul sito dell’IDV c’era altro ed una forte presa di posizione di ADP, che in questo momento ha una visibilità enorme, non l’ho proprio sentita. Ho detto già molte volte in passato che quella di Di Pietro Ë una legalità molto limitata, quasi da questurino, e mi sembra che le cose stiano proprio così. Mi rendo conto di aver già parlato molto di Di Pietro e nello stesso tempo di non aver espresso neanche il 10% delle critiche che noi azionisti sentiamo di fargli. Io non voglio dire che egli ed il suo Partito non debbano attaccare ogni giorno Berlusconi, per quanto gli attacchi dei dipietrini girino sempre sugli stessi motivi; lo facciano. Almeno rispetto a quell’autentico fallimento che è il PD fanno l’opposizione come è giusto che si faccia. Quello che noi azionisti non accettiamo è che lui ed il suo partito si atteggino presso l’opinione pubblica come i soli ed i veri interpreti della moralità pubblica, dell’onestà, della lotta per la giustizia e del politicamente nuovo. Questo semplicemente non è vero. E purtroppo spiegare perchè non è vero richiederebbe ormai un libro, dal momento che non passa giorno senza che girino voci e storie poco chiare sul conto di quel partito e del suo capo. Io francamente non saprei neppure dove cominciare tante sono le cose da dire. Molti fatti sono stati già portati alla luce e non da avversari o da servi di Berlusconi, come recita la propaganda dipietresca, ma da personalità di grande prestigio che hanno lavorato per anni fianco a fianco con Di Pietro. Uno di questi Ë Elio Veltri. Le cose che racconta Veltri sono molto pesanti e se fossero vere, anche solo al 30%, sarebbe la fine del mito del paladino della giustizia, del giustiziere senza macchia. Vedo che la massa dei fans di Di Pietro non vuol sentire ragioni, non vuol neppure ragionare su certi fatti. Si tratta di credere a Di Pietro o a Veltri. Io, che ho conosciuto tutti e due, non esito a credere a Veltri e non perchè anche noi azionisti facciamo i piccoli fans di questo o di quell’altro, ma perchè i fatti che non ci piacciono e che non ci convincono sono diventati ormai veramente troppi. Quindi, non è che noi stiamo a ripetere a pappagallo le solite accuse che vengono rivolte a Di Pietro come quella di essere un giustizialista assetato del sangue delle povere vittime finite ingiustamente in gattabuia ai tempi di Mani Pulite. Tutto il contrario. Noi non riusciamo a prendere sul serio Di Pietro proprio nel ruolo di moralizzatore e di rinnovatore della politica italiana e ciò per un numero ormai lunghissimo di motivi. Ci tengo a ribadire questo concetto perchè una certa visione ingenua circa di Pietro è arrivata a lambire finanche i confini della nostra rigorosa comunità neoazionista. E’ arrivato quindi il momento che noi ci si esprima con parole molto chiare su Di Pietro e l’IDV. In sintesi, noi azionisti riteniamo che Di Pietro e l’IDV non abbiano i requisiti minimi per interpretare il ruolo che ADP e IDV tengono a rivestire. Dico di più per poter essere ancora più chiaro; ritengo che, secondo i nostri criteri azionisti, nè Di Pietro, nè molti dei suoi uomini potrebbero far parte del nostro Partito e della nostra comunità, piccola o meno piccola che essa sia. Non raggiungono i nostri criteri minimi per essere considerati da noi come paladini della legalità e della moralità o del nuovo in politica o per essere accettati come membri di un partito come il nostro di intransigenti e radicali rappresentanti della legalità, della moralità, della diversità, proprio alla luce di quei valori che essi in buona parte millantano e che sono stati a detta unanime incarnati nella storia di questo Paese solo da coloro che si sono richiamati alla cultura politica azionista. Questo dato deve essere d’ora in poi chiarissimo; sia per chi viene da noi, sia per tutti gli altri. Non si può essere al tempo stesso azionisti (o neoazionisti) e dipietristi. L’azionismo non ha bisogno di ruspanti caricature. E non è solo questione di moralità e di onestò, ma anche di stile, come dicevo prima a proposito dell’episodio della Carfagna. Faccio un esempio solo apparentemente insignificante; qualcuno dei lettori del nostro Forum ricorderà quella serata, prima delle elezioni del 2006, in cui Di Pietro e l’attuale Presidente del Senato Schifani furono invitati al noto programma del Bagaglino. Non potrò mai dimenticare come finì quella serata; Di Pietro e Schifani, nella vita politica quotidiana acerrimi nemici, si stavano rotolando o, meglio, si stavano letteralmente sbracando dalle risate mentre si scambiavano davanti a tutti gli italiani torte in faccia, riversi l’uno sull’altro per terra. E pensare che uno dei due ora è Presidente del Senato. Di Schifani però non voglio parlare; sappiamo chi sono i forzaitalioti.
Ma chi pretende di essere di molto superiore, chi pretende di essere il paladino degli onesti che resistono a questa nuova degenerazione della politica e del vivere civile che è il berlusconismo, chi pretende di essere il giustiziere, il solo giustiziere dei torti subiti dalla gente comune, non può poi, di punto in bianco, trasformarsi in oggetto di lazzi da taverna e giocarsela a dadi con l’accolito del Don Rodrigo di turno. Lo diceva pure Enzo Biagi: capita che qualcuno ingravidi una ragazzina, ma se lo fa il parroco lo scandalo è più grande. Per far capire la differenza tra uno di noi ed uno di loro, se al posto di Di Pietro ci fosse stato uno dei nostri, il giorno dopo sarebbe stato messo fuori dal Partito. Dietro di noi abbiamo una tradizione storica gloriosa e di grande rigore culturale, stilistico, etico (e politico naturalmente) e questo fa una enorme differenza. Per questo, a noi non sarebbe mai potuto capitare tra i piedi un De Gregorio qualsiasi, ecco perchè tra di noi non abbiamo nè potremo mai avere un solo riciclato proveniente dall’Udeur o da Forza Italia o dalla quarta fila dei vecchi notabili democristiani del Sud, così come centinaia di altri strani e discussi personaggi su cui Di Pietro non ha nulla da ridire. C’è un’altra differenza tra noi azionisti ed i dipietristi sul piano etico. Essa consiste in quella che potrei definire una sorta di prova ontologica della legalità, con rovesciamento dell’onere della prova stessa. In altre parole, tutto ciò che per Di Pietro non è platealmente illegale diventa ipso facto non solo lecito ma addirittura normale, se non proprio prova di moralità. Hai avuto comportamenti molto discutibili politicamente e moralmente, ma non sei stato condannato da un Tribunale dopo il terzo grado di giudizio o anche dopo il primo? Allora sei pulito, puoi essere eletto, il tuo nome non deve entrare nella ‘black list’ che i nostri amici giornalisti stilano per gli uomini degli altri partiti. Troppo semplice, troppo comodo, però agire così e pretendere di essere al tempo stesso il Lancillotto della moralità e del nuovo. La cultura, l’immagine, l’etica, lo stile, allora non hanno il compito di effettuare nessuna selezione preventiva? Non contano nulla? Esattamente ciò che prima definivo una legalità da questurino. Sul piano etico insomma non troviamo nessun motivo particolare per stabilire un asse privilegiato tra NPA e IDV. Sul piano strettamente politico le cose sono ancora meno incoraggianti. Non è che lo diciamo noi (che con l’IDV non abbiamo mai avuto a che fare finora, a parte un breve momento nel 2006 in cui noi proponemmo loro tre o quattro nostre candidature di pura testimonianza nelle loro liste e loro rifiutarono la proposta senza darci alcuna spiegazione), ma lo dicono tutti coloro che con Di Pietro hanno avuto a che fare. Dire che il politico Di Pietro è inaffidabile mi sembra il minimo; da Occhetto e Chiesa a Prodi, da D’Alema a Segni, da Fini a Casini fino all’ultima vittima Veltroni, le giravolte improvvise del leader Idv non si contano nemmeno più. Oggi è un isolato col vento in poppa, ma che sa che tutti, per un motivo o per l’altro, ce l’hanno con lui. Quindi, spinge l’acceleratore dell’antiberlusconismo al massimo, nel tentativo di garantirsi il 5%, che è la sua sola assicurazione per il futuro. Il dott. Di Pietro non vuole o non può allearsi con nessuno e nessuno vuol più allearsi con lui. Poi, non si può mai dire perchè essendo l’Italia un paese in cui tanti fessi si credono furbi non è neanche da escludere che faccia una nuova vittima. Qualcuno dell’ex Sinistra Arcobaleno, per esempio, stia attento a non essere la prossima. Tutti ormai sanno che allearsi con Di Pietro è una operazione ad altissimo tasso di rischio.Tra l’altro, Di Pietro politicamente non ha pagato ancora alcun dazio perchè è un furbo spregiudicato e finora gli è andata sempre bene. Contro l’indulto ha fatto la sceneggiata e se l’è cavata senza far nulla di serio per impedirne l’approvazione, nell’ultimo governo Prodi se c’era qualcuno che più di tutti dava l’immagine della rissosità questo qualcuno era proprio lui ed invece a pagare sono stati Mastella ed i partiti della sinistra radicale (per non dire del PS). Posso continuare a lungo; chi durante le ultime fasi del governo Prodi e prima delle presentazione delle liste poneva veti contro la sinistra comunista era sempre lui. Però è andata male solo al PRC e al PDCI (ma anche a SD ed ai Verdi). Chi non ha tenuto fede ai patti con Veltroni è stato sempre lui. Prendo a prestito, a tal proposito, le parole che Giulietto Chiesa ha scritto dopo Piazza Navona; in quella occasione Di Pietro ha inveito contro Veltroni e contro la debolezza del PD nell’opporsi a Berlusconi, rivendicando nei confronti del PD, che lo aveva invece salvato dalla stessa fine che ha fatto la SA ed il PS, il preteso ruolo di unica opposizione per IDV:
Di Pietro, non dimentichiamolo, è stato uno degli artefici del ‘successo’ di Veltroni. E’ un suo alleato. Se vivessimo in un paese normale la prima cosa che il pubblico di Piazza Navona avrebbe dovuto chiedergli, a gran voce, sarebbe stata di spiegare perchè è entrato nel “pacchetto” di Veltroni. Si è sbagliato? Lo dica. Altrimenti saremo costretti a pensare che ci sta prendendo tutti per i fondelli”.
Giulietto Chiesa poi aggiunge un’altra considerazione molto interessante. Egli dice che “Di Pietro sapeva perfettamente che Veltroni non avrebbe affrontato il conflitto d’interessi di Berlusconi, perchè si era messo d’accordo con lui. Ma ha fatto il furbo e ha aspettato l’occasione per smarcarsi. Perchè ha fatto la manfrina? Per trarne vantaggio per se e per Italia dei Valori. A scapito dei cittadini, che hanno elevato – turlupinati – Veltroni e il PD a finta opposizione di Berlusconi. Dunque Di Pietro ha partecipato all’inganno e, per giunta, sappiamo che ne era consapevole fin dal momento del concepimento dell’inganno”. Resta ancora un mistero da chiarire, un rebus intorno al quale molti osservatori della politica italiana più recente si sono a lungo interrogati in questi ultimi quattro mesi senza sapersi dare ancora una risposta: ma perchè Veltroni ha fatto l’accordo elettorale proprio con Di Pietro? I socialisti si chiedono pure; perchè con Di Pietro e non con noi? Io voglio proporre una chiave di lettura che parte proprio da una cosa che ha ricordato Chiesa; Veltroni fece, prima delle elezioni, un patto segreto con Berlusconi.
La prima delle merci di scambio era appunto, come dice Chiesa, l’impegno di Veltroni a non affrontare il conflitto di interessi. L’altra era di imporre il bipartitismo coatto aiutandosi a vicenda nel far fuori il maggior numero di alleati scomodi, o ex alleati scomodi o potenziali futuri alleati scomodi, possibile. Chi mi legge ricorderà che prima della formazione delle liste e delle alleanze giravano voci di una possibile alleanza di Di Pietro con Casini, con Pezzotta e con Tabacci, l’odierna neodemocristiana Unione di Centro. Non erano solo voci. I giornali avevano pubblicato notizie di incontri svoltisi al Ministero delle Infrastrutture per costituire questo nuovo polo. Questo dava fastidio a Berlusconi che si era fissato di poter provocare l’estromissione di Casini e dell’Udc dal Parlamento e la manovra non sarebbe potuta andare in porto se alle truppe democristiane di Casini si fossero unite anche quelle dell’ex pm. A quel punto Berlusconi, nell’ambito dell’accordo con Veltroni e delle larghe intese, chiede a Veltroni di staccare Di Pietro da Casini. Come? C’era un solo modo; quello di associare Di Pietro in una alleanza con il Pd. E’ una ricostruzione fantasiosa? Può darsi. Attendo in tal caso smentite e chiarimenti da parte degli interessati. Certo è che prima delle elezioni si consumò da parte degli alleati PD-IDV una complessa commedia degli ‘inciuci’ e degli inganni. Ci vuole ben altra credibilità politica per fare l’opposizione a Berlusconi.
In ogni caso, la scorrettezza di Di Pietro nei rapporti politici ha pagato finora solo per lui. Lui è l’unico a stare bene oggi nell’ex centrosinistra e tutti gli altri sono a pezzi. Di Pietro, in altri termini, prima ha seminato zizzania ed animosità nel cortile del centrosinistra spingendo anche Veltroni alla rottura con il resto della coalizione ed ora che ha contribuito così tanto allo sfascio della coalizione specula ai suoi esclusivi fini sullo stato catatonico, ormai conclamato, dell’ex Unione, rivoltandosi anche contro Veltroni e rialzando la posta sempre di più nei suoi confronti ben sapendo, già da prima delle elezioni, dove e quando avrebbe potuto colpire anche il Pd alle spalle. A questo punto deve solo sperare che il suo gioco al massacro in campo amico (e purtroppo non nemico; Di Pietro è la migliore polizza per la tenuta del centrodestra) gli vada sempre bene.

Parliamo ora del nostro Partito. Gli inviti ai congressi del P.S. e della S.D. sono un grosso passo in avanti per l’NPA che si accredita sempre di più come interlocutore serio e credibile per i partiti che ruotano intorno all’area riformista. L’orizzonte a sinistra si è schiarito dopo la bufera elettorale?

Innanzitutto due brevi premesse. La prima è che per quanto riguarda l’invito al congresso della Sinistra Democratica c’era un invito che non era ancora ufficializzato ma siamo stati noi a soprassedere perchè vorremmo prima avere un incontro con il loro nuovo segretario Fava a settembre. L’altra premessa è il dato inerente al numero delle forze oggi in campo nel centrosinistra. Questo nostro Forum ‘orange’ ne ha già fatto un elenco completo, preciso ed aggiornato. Lo riporto un attimo per comodità di discussione. Ci sono oggi nel centrosinistra ed a sinistra del PD 15 partiti: Pd, Idv, Radicali Italiani, Prc, Pdci, Verdi, Sd, Ps, Pcl, Sc (Sinistra Critica), Consumatori, Pcb (Partito del Bene Comune), Psdi, PdAC (Partito d’Azione Comunista) e noi dell’Npa (Nuovo Partito d’Azione).
Probabilmente bisogna mettere in conto che due o tre dei partiti summenzionati troverebbero qualcosa da ridire per il fatto di essere stati catalogati nel campo del centrosinistra. Vedremo le loro prossime mosse. Si potrebbe arrivare anche ad un elenco di 12 partiti invece di 15. Prima di affrontare la domanda, mi sia consentito un ulteriore inciso. Di tutti e quindici i partiti dell’area vasta del centrosinistra, il nostro è l’unico che non si è presentato ancora col proprio simbolo alle elezioni e quindi c’è un dato elettorale, quello che riguarda il ‘Nuovo Partito d’Azione’, ancora totalmente inespresso. A questo proposito io ritengo che, una volta che si presentassero per noi le condizioni minime per concorrere quasi ad armi pari e per fare un po’ di campagna elettorale, il nostro partito avrebbe un interessante potenziale elettorale, sicuramente tale da non farci sfigurare rispetto a grandi partiti storici e con decine di migliaia di iscritti, che oggi navigano tutti intorno allo 0,8% dei voti, come abbiamo visto nel caso di tutti i partiti della sinistra ex-parlamentare nel corso delle passate elezioni politiche di aprile. Mi permetto altresì di ricordare che tutti i partiti che si sono presentati alle ultime elezioni lo hanno fatto senza raccogliere una sola firma. Detto questo, posso inoltrarmi nella risposta. Il ‘Nuovo Partito d’Azione’ sta facendo tanti piccoli passettini in avanti, magari non eclatanti e teatrali, ma concreti. Un lavoro solerte da formichine, possiamo dire. Altri passettini cercheremo di farli a partire dalla ripresa. Abbiamo molti progetti in mente, tra cui anche quello del giornale del Partito. Solo due anni fa programmammo nel corso della nostra prima Direzione Nazionale il numero di iscritti ed aderenti che avremmo dovuto raccogliere al termine di un lunghissimo ciclo di lavoro di molti anni, un numero minimo soddisfacente che credevamo di raggiungere magari solo dopo dieci o più anni. Ebbene, posso dare l’annuncio che quel numero è stato già raggiunto nello scorso mese di luglio, non dopo dieci o dodici anni, come avevamo programmato nel maggio 2006, ma dopo solo due anni. Questo stesso Forum può ormai contare su una media di 400 visite al giorno, esclusi gli utenti registrati. Quindi siamo abbastanza soddisfatti del lavoro fatto e del posizionamento che stiamo raggiungendo. Ancor più, quindi, ci stiamo accreditando in quel settore del centrosinistra che dovrebbe raccogliere le forze che si richiamano al riformismo. In fondo, i quindici soggetti del centrosinistra (in senso vasto), almeno teoricamente, dovrebbero formare, pur senza sciogliersi o fondersi, tre aggregazioni più grandi; una comunista (ben cinque partiti si richiamano al comunismo), una moderata con il Pd, alcuni dicono anche con l’Idv (ma io sull’Idv non azzardo pronostici come ho cercato di far capire prima) come è accaduto alle elezioni dello scorso aprile, ed infine, in mezzo, ci potrebbero stare tutti gli altri formando una area laico-progressista, riformista e di sinistra democratica. Questo vorremmo noi e questo vorrebbero la logica, il buon senso, la tradizione storica e la razionalità teorica. Sfortunatamente per l’Italia e per il centrosinistra italiano però, la teoria e la razionalità non stanno proprio di casa in quest’altra metà politica del nostro Paese. Le cose in pratica vanno in un modo alquanto diverso. Per quanto riguarda l’area comunista, tutti e cinque i partiti comunisti stanno in pessimi rapporti fra di loro e il Prc non è detto ancora che non produca un’ulteriore scissione. Il Pd ha appena divorziato con l’Idv per quanto riguarda l’area moderata. Nell’area intermedia, che solo per brevità definirei riformista, quella nella quale anche noi dell’Npa potremmo giocare un certo ruolo, un vero dialogo tra le varie componenti è appena iniziato ma anche qui sono più spine che rose; pesa al momento attuale una certa incomunicabilità tra il Ps e la Sd i cui disegni non sono ancora ben chiari o, quanto meno, non lo sono per noi dell’Npa. E’ soprattutto con questi due partiti che vogliamo approfondire il confronto a partire dalla ripresa settembrina. Il confronto non verterà soltanto sulle identità e sui programmi perchè se ognuno si rinserra nella difesa della propria identità e della assoluta giustezza dei propri punti programmatici non si va da nessuna parte e si resta tutti nelle sciagurate ed incredibili condizioni attuali; quindici partiti tutti isolati l’uno dall’altro. Non è pensabile di continuare così ancora per molto. Il problema più che nelle identità, è chiaro che ognuno si tiene la propria ed anche la propria autonomia ed il proprio simbolo, sta nelle diverse formule strategiche in competizione. Per fare un esempio; Sd ha aspettato con ansia il congresso di Rifondazione Comunista nella speranza lo vincesse Vendola in modo da fare insieme al Prc la ‘Costituente di Sinistra’. Le cose sono andate però nel modo peggiore per le speranze del movimento di Mussi e di Fava ed adesso, a meno che non avvenga una scissione nel Prc, non si capisce quali saranno le contromosse della Sd. Stesso discorso per i Verdi. A settembre cercheremo di capire bene anche cosa vuol fare il nuovo segretario del Ps, Nencini, a cui bisogna dare il tempo minimo, essendo stato appena eletto, di farsi il suo giro di orizzonte. Tutti dicono che bisogna uscire dall’isolamento in cui tutti versano, ma ancora non si riesce a vedere il modo in cui poter rendere compatibili le varie opzioni strategiche attualmente in campo. Vedremo cosa succederà alla ripresa. Per noi la cosa peggiore è che, da un lato, il Ps possa essere risucchiato dall’area centrista piddina-democristiana e che, dall’altro, la Sd non sappia considerarsi come autonoma rispetto all’area comunista. Io posso solo assicurare alla nostra comunità, ma anche ai nostri estimatori sparsi nelle associazioni o nei forum o in altri partiti che l’Npa cercherà di stabilire un dialogo con quanti più partiti è possibile. Forse non sarà possibile dialogare con tutti gli altri 14 partiti, ma almeno con 5 o 6 dovremo cercare di mantenere un canale di dialogo permanente. Un’altra cosa che posso assicurare, e qui mi rivolgo ai tanti compagni che auspicano la formazione di un’area riformista forte ed autonoma, è che l’Npa si batterà fino all’ultimo per questa ipotesi. Dovremo cercare di fare queste due cose non per il nostro bisogno di riconoscimento, che per fortuna comincia ad essere un problema in via di definitivo superamento, ma proprio perchè riteniamo che la nostra collocazione possa essere utile ai fini della ricomposizione di una rinnovata area riformista o riformatrice e, di conseguenza, di un quadro politico coeso ed unitario all’interno del quadrante di centrosinistra.